lunedì 15 ottobre 2012

primo incontro con il Tao

© Philip Hyde
Dopo l'accettazione di Don Juan nel fargli conoscere il peyote, da lui denominato Mescalito, Castaneda per la prima volta ne assume i boccioli essiccati e con essi uno tra i più potenti allucinogeni - la mescalina; l'esperienza che ne risulta nella terminologia di Tart inizia con il passaggio dallo stato di coscienza ordinario di base b-SoC ad un profondo stato alterato d-ASC per poi tornare, con una difficile transizione, al b-SoC:
Lunedì, 7 agosto, 1961
Arrivai alla casa di don Juan in Arizona venerdì, verso le sette di sera.
Altri cinque indiani sedevano con lui sotto il portico della casa. Lo salutai e aspettai che gli altri dicessero qualcosa. Dopo un silenzio formale uno degli uomini si alzò, venne verso di me e disse: "Buenas noches". Mi alzai in piedi e risposi "Buenas noches". Quindi tutti gli altri si alzarono e vennero verso di me e mormorammo tutti "buenas noches" e ci stringemmo la mano o toccandoci semplicemente a vicenda la punta delle dita o tenendo la mano per un istante e lasciandola quindi cadere improvvisamente.
Ci rimettemmo tutti a sedere. Sembravano piuttosto impacciati, senza parole, sebbene parlassero tutti spagnolo.
Dovevano essere state circa le sette e mezzo quando improvvisamente si alzarono tutti e si incamminarono verso il retro della casa. Per un lungo tempo nessuno aveva detto una parola. Don Juan mi fece segno di seguirli e tutti entrammo in un vecchio furgoncino che era parcheggiato là dietro. Sedetti dietro con don Juan e due giovani. Non c'erano né cuscini né panche, e il pavimento di metallo era dolorosamente scomodo, specialmente quando lasciammo la strada asfaltata e ci inoltrammo in una strada bianca. Don Juan mi sussurrò che stavamo andando alla casa di un suo amico che aveva sette mescalito per me.
Gli chiesi: "Non ne avete voi stesso, don Juan?".
"Ne ho, ma non potrei offrirteli. Vedi, questo deve essere fatto da qualcun altro".
"Potete dirmi perché?".
"Forse tu non 'gli' vai a genio e non 'gli' piaceresti, e allora non sarai mai in grado di conoscerlo con affetto, come si dovrebbe; e la nostra amicizia sarebbe rotta".
"Perché potrei non piacergli? Non gli ho mai fatto nulla".
"Non devi fare nulla per piacergli o non piacergli. O ti prende o ti scaccia".
"Ma se non mi prende, c'è qualcosa che io possa fare per far sì che io gli piaccia?".
Gli altri due uomini sembrarono aver udito per caso la mia domanda e risero.
"No!"Non riesco a immaginare nulla che si possa fare", disse don Juan.
Mi volse le spalle e non potei più parlargli.
Dovevamo aver viaggiato per almeno un'ora quando ci fermammo davanti a una piccola casa. Era completamente buio, e dopo che il guidatore ebbe spento i fari potei distinguere soltanto il vago contorno dell'edificio.
Una giovane donna, una messicana, a giudicare dal suo accento, dava di voce a un cane per farlo smettere di abbaiare. Scendemmo dal camioncino ed entrammo nella casa. Gli uomini mormorarono "Buenas noches" mentre le passavano accanto. La donna ricambiò e continuò a gridare al cane.
La stanza era ampia e affollata da una moltitudine di oggetti. Una tenue luce proveniente da una piccolissima lampadina elettrica dava un tono lugubre alla scena. Contro il muro c'erano alcune sedie sfondate e con le gambe rotte. Tre degli uomini si misero a sedere su un divano che era il mobile più grande della stanza. Era vecchissimo e tutto sfondato fino a toccare il pavimento; alla tenue luce della lampadina sembrava rosso e sporco. Gli altri si misero a sedere sulle sedie. Rimanemmo a lungo seduti in silenzio.
Improvvisamente uno degli uomini si alzò e andò in un'altra stanza. Aveva forse cinquant'anni, era alto, di carnagione scura, e robusto. Ritornò un momento dopo con un vaso da caffè. Aprì il coperchio e me lo porse. Dentro c'erano sette cose di strano aspetto. Variavano per dimensioni e consistenza. Alcune erano quasi tonde, altre allungate. Al tatto assomigliavano al gheriglio delle noci, o alla superficie di un sughero. Il loro colore marrone le faceva assomigliare a dei gusci di noce duri e secchi. Li presi in mano, accarezzandone la superficie per un certo tempo.
"Sono da masticare (esto se masca)", disse don Juan in un bisbiglio.
Fino a quando non parlò non mi ero reso conto che si era seduto accanto a me. Guardai gli altri uomini, ma nessuno mi stava guardando; stavano parlando tra loro a voce bassissima. Fu un momento di acuta indecisione e di paura. Mi sentivo quasi incapace di controllarmi.
"Devo andare in bagno", gli dissi. "Vado fuori a fare due passi".
Mi porse il vaso da caffè e ci rimisi dentro i boccioli di peyote. Stavo uscendo dalla stanza quando l'uomo che mi aveva dato il vaso si alzò, venne verso di me, e disse di avere un w.c. nell'altra camera.
Il w.c. era quasi contro la porta. Accanto alla porta, quasi a contatto con il w.c., c'era un ampio letto che occupava più della metà della stanza. Sopra c'era la donna che dormiva. Restai per un poco immobile accanto alla porta, quindi ritornai nella camera in cui erano gli altri uomini.
Il proprietario della casa mi parlò in inglese: "Don Juan dice che voi venite dal Sud America. C'è peyote nel vostro paese?". Risposi che non ne avevo mai sentito parlare.
Sembrarono interessati al Sud America e parlammo degli indiani per un po' di tempo. Quindi uno degli uomini mi chiese perché volessi provare il peyote. Risposi che volevo sapere a cosa assomigliava. Risero tutti timidamente.
Don Juan mi esortò dolcemente, "Masticalo, masticalo (Masca, masca)".
Avevo le mani bagnate e lo stomaco contratto. Il vaso con i boccioli di peyote era sul pavimento accanto alla sedia. Mi piegai, ne presi uno a caso, e me lo misi in bocca. Aveva un sapore stantio. Lo spezzai in due con un morso e cominciai a masticare uno dei pezzi. Sentii un forte sapore amaro e piccante; subito la mia bocca fu tutta intorpidita. Il sapore amaro aumentava man mano che continuavo a masticare, costringendomi a secernere un'incredibile quantità di saliva. Mi sentivo le gengive e l'interno della bocca come se avessi mangiato carne secca o pesce secco salatissimi, che sembrano obbligare a masticare di più. Dopo un po' masticai l'altro pezzo e la mia bocca fu così intorpidita che non potei più sentire il sapore amaro. Il bocciolo di peyote era un fascio di filamenti, come la parte fibrosa di un'arancia o come canna da zucchero, e non sapevo se inghiottirlo o sputarlo. In quel momento il proprietario della casa si alzò e invitò tutti a uscire nel portico.
Uscimmo e sedemmo al buio. Fuori si stava piuttosto comodi, e l'ospite tirò fuori una bottiglia di tequila.
Gli uomini erano seduti in fila con la schiena appoggiata al muro. Io stavo all'estrema destra della fila. Don Juan, che sedeva accanto a me, mise il vaso con i boccioli di peyote tra le mie gambe. Poi mi porse la bottiglia, che veniva fatta passare dall'uno all'altro, e mi disse di bere un poco di tequila per sciacquare dalla bocca il gusto di amaro.
Don Juan mi diede quindi un pezzo di albicocca secca, o forse era un fico secco — al buio non potei vederlo, né potei sentirne il sapore — e mi disse di masticarlo accuratamente e lentamente, senza fretta. Trovai delle difficoltà a inghiottirlo; sembrava come se non andasse giù.
Dopo una breve pausa la bottiglia fece un altro giro. Don Juan mi porse un pezzo di carne secca croccante. Gli dissi che non mi sentivo di mangiare.
"Questo non è mangiare", disse con fermezza.
Tutto questo fu ripetuto sei volte. Ricordo di aver masticato sei boccioli di peyote quando la conversazione divenne molto animata; sebbene non riuscissi a capire in che lingua parlassero, l'argomento della conversazione, a cui tutti partecipavano, era molto interessante, e cercai di ascoltare attentamente così da potervi prender parte. Ma quando cercai di parlare mi resi conto di non poterlo fare; le parole si muovevano continuamente senza scopo nella mia mente.
Sedetti con la schiena appoggiata al muro e ascoltai quello che stavano dicendo gli uomini. Parlavano in italiano e ripetevano in continuazione una stessa frase sulla stupidità dei pescecani. Pensai che fosse un argomento logico e coerente. Avevo raccontato in precedenza a don Juan che il fiume Colorado in Arizona era chiamato dagli antichi spagnoli "el rio de los tizones" (il fiume dei tronchi carbonizzati); ma qualcuno aveva pronunciato o compreso male 'tizones', e il fiume fu battezzato "el rio de los tiburones" (il fiume dei pescecani). Ero certo che stessero parlando di quello, tuttavia non mi venne mai in mente che nessuno di essi sapeva parlare italiano.
Avevo un fortissimo desiderio di dar di stomaco, ma non ricordo di averlo effettivamente fatto. Chiesi che qualcuno mi desse un po' d'acqua. Sentivo una sete insopportabile.
Don Juan mi portò una grossa pentola. La mise sul pavimento accanto al muro. Portò una tazzina o un barattolo. La tuffò nella casseruola e me la porse, e disse che non potevo bere ma solo rinfrescarmici la bocca.
L'acqua sembrava stranamente lucida, scintillante, simile a una spessa lacca. Volli chiedere spiegazioni a don Juan e cercai faticosamente di esprimere i miei pensieri in inglese, ma subito mi ricordai che lui non parlava inglese. Provai un momento di grande confusione, e mi, resi conto del fatto che sebbene avessi nella mente un pensiero chiaro, non potevo parlare. Volli commentare la strana qualità dell'acqua, ma quello che seguì non assomigliava a una lingua; era un sentire i miei pensieri non espressi uscire dalla mia bocca in una specie di forma liquida. Era una sensazione passiva di vomitare senza le contrazioni del diaframma. Era un gradevole scorrere di parole liquide.
Bevvi. E la sensazione di star vomitando scomparve. A quel punto tutti i rumori erano svaniti e trovai che avevo delle difficoltà nel mettere a fuoco gli occhi. Cercai don Juan e quando ebbi girato la testa scoprii che il mio campo visivo si era ridotto a un'area circolare davanti ai miei occhi. Questa sensazione non dava spavento né disagio, ma tutto il contrario, costituiva una novità; potevo letteralmente spazzare il pavimento mettendo a fuoco su un solo punto e poi muovendo lentamente la testa in qualsiasi direzione. Quando ero uscito la prima volta sul portico avevo notato che era tutto buio tranne che per il lontano alone delle luci della città. Ma entro l'area circolare della mia visione tutto era chiaro. Dimenticai tutto quel che riguardava don Juan e gli altri uomini, e mi dedicai interamente all'esplorazione del terreno nell'ambito della mia visione ristretta a una punta di spillo.
Vidi la congiunzione del pavimento del portico con il muro. Voltai lentamente la testa a destra, seguendo il muro, e vidi don Juan che sedeva appoggiandovi le spalle. Spostai la testa a sinistra per mettere a fuoco l'acqua. Trovai il fondo della casseruola; sollevai il capo lentamente e vidi avvicinarsi un cane di media taglia. Lo vidi venire verso l'acqua. Il cane cominciò a bere. Alzai la mano per scacciarlo dalla mia acqua; per eseguire il movimento misi a fuoco sul cane la mia visione puntiforme, e improvvisamente lo vidi diventare trasparente. L'acqua era un liquido scintillante e vischioso. La vidi scendere nella gola del cane ed entrare nel suo corpo. La vidi scorrere uniformemente per tutta la sua lunghezza e quindi uscire fuori attraverso ciascuno dei peli. Vidi il fluido iridescente percorrere tutta la lunghezza di ciascun singolo pelo e quindi proiettarsi fuori dei peli per formare una lunga criniera bianca e setosa. In quel momento ebbi una sensazione di intense convulsioni, e in pochi istanti intorno a me si formò una galleria, molto bassa e stretta, dura e stranamente fredda. Al tatto sembrava un muro di lamiera compatta.
Scoprii di essere seduto sul pavimento della galleria. Cercai di alzarmi in piedi, ma battei il capo contro il tetto metallico, e la galleria si compresse fino a soffocarmi. Ricordo di aver dovuto strisciare verso una specie di punto rotondo laddove terminava la galleria; quando alla fine arrivai, se pure arrivai, avevo completamente dimenticato il cane, don Juan, e me stesso. Ero spossato. I miei abiti erano imbevuti di un liquido freddo e appiccicoso. Rotolai avanti e indietro per trovare una posizione in cui riposare, una posizione in cui il cuore non mi battesse così forte. In uno di questi spostamenti vidi di nuovo il cane.
Improvvisamente mi tornò il ricordo di tutto, e subito tutto fu chiaro nella mia mente. Mi girai intorno per cercare don Juan, ma non potei vedere nulla o nessuno. Tutto quello che fui in grado di vedere fu il cane che diventava iridescente: una luce intensa emanava dal suo corpo. Vidi di nuovo l'acqua che scorreva attraverso il suo corpo, accendendolo come un falò. Mi accostai all'acqua, immersi il viso nella casseruola, e bevvi con lui. Avevo le mani davanti a me sul pavimento e, mentre bevevo, vidi il liquido scorrere attraverso le mie vene formando colori rossi, gialli, e verdi. Bevetti sempre di più. Bevvi finché non fui tutto in fiamme; ero tutto ardente. Bevvi finché il liquido usci dal mio corpo attraverso tutti i pori, e si proiettò fuori simile a fibre di seta, e anch'io acquistai una lunga criniera, luminosa e iridescente. Guardai il cane, e la sua criniera era come la mia. Una suprema felicità riempiva tutto il mie corpo, e corremmo insieme verso una specie di calore giallo che veniva da un qualche luogo indefinito. E qui giocammo. Giocammo e lottammo finché non conobbi i suoi desideri ed egli conobbe i miei. Ci alternammo a manovrarci a vicenda alla maniera di un teatro di burattini. Potevo fargli muovere le gambe torcendo le dita dei piedi, e ogni volta che abbassava la testa sentivo un irresistibile impulso a saltare. Ma il suo atto più birichino fu farmi grattare la testa col piede mentre ero seduto; lo fece facendo ondeggiare le orecchie da una parte all'altra. Questa azione fu per me totalmente, insopportabilmente divertente. Che tocco di grazia e di ironia; che maestria, pensavo. L'euforia che mi possedeva era indescrivibile. Risi finché non mi fu quasi impossibile respirare.
Ebbi la chiara sensazione di non essere capace di aprire gli occhi; stavo guardando attraverso un serbatoio d'acqua. Fu uno stato lungo e assai penoso, pieno dell'angoscia del non essere capace di svegliarmi e tuttavia essere sveglio. Quindi lentamente il mondo diventò chiaro e a fuoco. Il mio campo visivo ridivenne molto rotondo e ampio, e con esso venne un atto conscio ordinario, che era girarsi intorno e cercare quel meraviglioso essere. A questo punto incontrai la transizione più difficile. Il passaggio al mio stato normale era avvenuto quasi senza che me ne rendessi conto: ero consapevole; i miei pensieri e le mie sensazioni erano un corollario di questa consapevolezza; e il passaggio era stato armonioso e chiaro. Ma questo secondo cambiamento, il risvegliarsi a una coscienza seria e sobria, fu autenticamente sconvolgente. Avevo dimenticato di essere un uomo. L'amarezza di una situazione talmente irreconciliabile fu così intensa che piansi.

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