martedì 25 settembre 2012

prime lezioni sul Tao


Dopo l'incontro con Don Juan, Castaneda incomincia le sue prime sedute:
I miei appunti sulla prima seduta con don Juan sono datati 23 giugno 1961. Fu in quell'occasione che incominciarono gli insegnamenti anche se in precedenza lo avevo visto molte volte, ma solo in veste di osservatore. In ciascuna occasione gli avevo chiesto di insegnarmi qualcosa sul peyote. Pur ignorando la mia richiesta ogni volta, non scartò mai del tutto l'argomento, ed io interpretai la sua esitazione come una possibilità che egli avrebbe potuto essere propenso a parlare della sua conoscenza se io avessi insistito di più.
In quella particolare seduta mi fece capire che egli avrebbe potuto prendere in considerazione la mia richiesta purché io possedessi un'idea e una finalità precise rispetto a quanto gli chiedevo. Mi era impossibile soddisfare a tale condizione, perché gli avevo chiesto di erudirmi sul peyote solo in quanto mezzo per stabilire con lui un vincolo di comunicazione. Pensavo che la sua familiarità con l'argomento avrebbe potuto predisporlo a essere più aperto e pronto a parlare, permettendomi così di accedere alla sua conoscenza sulle proprietà delle piante. Egli, tuttavia, aveva interpretato la mia richiesta alla lettera, e si interessò del mio scopo nel desiderare di imparare le qualità del peyote.


Venerdì, 23 giugno, 1961
"Volete insegnarmi qualcosa sul peyote, don Juan?".
"Perché vuoi imparare questo genere di cose?".
"Davvero vorrei sapere qualcosa a proposito del peyote. Voler sapere non è già di per sé una buona ragione?".
"No! Devi cercare nel tuo cuore e scoprire perché un giovane come te vuole accingersi a questo compito di apprendimento"
"La sola ragione che ho è che voglio imparare sul peyote, semplicemente sapere. Ma vi assicuro, don Juan, le mie intenzioni non sono cattive".
"Ti credo. Ti ho fiutato".
"Come sarebbe a dire?".
"Lascia perdere. Conosco le tue intenzioni".
"Intendete dire che avete visto dentro di me?".
"Puoi metterla così".
"Mi insegnerete, allora?".
"No!".
"È perché non sono un indiano?".
"No! È perché non conosci il tuo cuore. Ciò che importa è che tu sappia esattamente perché vuoi accingerti a questo. Imparare a conoscere 'Mescalito' è una cosa molto seria. Se tu fossi un indiano il tuo desiderio da solo sarebbe sufficiente. Pochissimi indiani hanno tale desiderio".".
"E voi perché lo avete imparato, don Juan?".
"Perché lo chiedi?".
"Forse abbiamo entrambi le medesime ragioni".
"Ne dubito. Io sono un indiano. Non abbiamo seguito le stesse strade".


Domenica, 25 giugno, 1961
Rimasi con don Juan tutto il pomeriggio di venerdì. Me ne sarei andato alle sette di sera. Eravamo seduti sotto il portico davanti alla casa e io decisi di chiedergli ancora una volta di insegnarmi. Era quasi una domanda fissa e mi aspettavo che avrebbe rifiutato nuovamente. Gli chiesi se ci fosse stata una maniera in cui avrebbe accettato il mio puro e semplice desiderio di imparare, come se fossi un indiano. Impiegò molto tempo a rispondere. Fui costretto a rimanere perché sembrava che cercasse di decidere qualcosa.
Alla fine mi disse che una maniera c'era; e procede a delineare un problema. Mi fece notare che io ero molto stanco di star seduto sul pavimento, e che la cosa giusta da fare era trovare un 'posto' (sitio) sul pavimento dove potessi sedere senza fatica. Ero rimasto a sedere con le ginocchia contro il petto e le braccia strette attorno ai polpacci. Quando mi disse che ero stanco mi resi conto di avere la schiena dolorante e di essere del tutto esausto.
Aspettai che mi spiegasse che cosa intendeva dire per un 'posto', ma non fece nessun tentativo evidente per spiegare la cosa. Pensai che forse intendeva che dovessi cambiare posizione, così mi alzai e mi sedetti più vicino a lui.' Non approvò il mio spostamento e disse chiaramente che un posto significava un luogo in cui un uomo potesse sentirsi naturalmente a suo agio e forte. Batté la mano sul posto in cui sedeva e disse che quello era il suo posto, aggiungendo che mi aveva presentato un indovinello che io dovevo risolvere da solo senza altre discussioni.
Quello che aveva presentato come un problema da risolvere era un vero e proprio enigma. Non avevo nessuna idea di come cominciare e neppure di quello che aveva in mente. Diverse volte chiesi un indizio, o almeno un suggerimento, sul come procedere per individuare un punto in cui sentirmi forte e a mio agio. Insistei e insinuai che non avesse nessuna idea di ciò che intendeva veramente perché io non potevo concepire il problema. Mi suggerì di camminare intorno al portico finché non trovassi il posto.
Mi alzai e cominciai a misurare il pavimento a passi lenti. Mi sentivo stupido e mi sedetti davanti a lui.
Don Juan cominciò ad arrabbiarsi e mi accusò di non dargli retta, suggerendo che forse non volevo imparare. Dopo un poco si calmò e mi spiegò che non tutti i posti erano buoni per sedere o stare, e che nei limiti del portico c'era un solo posto che era unico, un posto in cui avrei potuto stare a mio perfetto agio. Distinguerlo da tutti gli altri posti era compito mio. Il concetto generale era che io dovevo 'sentire' tutti i possibili posti che fossero accessibili fino a che potessi determinare senza ombra di dubbio quale fosse quello giusto.
Sostenni che sebbene il portico non fosse troppo grande (tre metri e mezzo per due e mezzo) il numero di posti possibili era enorme, e mi ci sarebbe voluto un tempo lunghissimo per controllarli tutti, e dal momento che non aveva specificato le dimensioni del posto, le possibilità potevano essere infinite. I miei argomenti erano futili. Si alzò e mi ammonì molto severamente che avrei potuto impiegare dei giorni per calcolarlo, ma che se non avessi potuto risolvere il problema avrei potuto benissimo andarmente perché non avrebbe avuto nulla da dirmi. Ribadì che sapeva dove fosse il mio posto, e che quindi non avrei potuto mentirgli; disse che questa era la sola maniera in cui avrebbe accettato come ragione valida il mio desiderio di imparare a conoscere Mescalito. Aggiunse che nel suo mondo non si regalava nulla, che tutto ciò che si può imparare deve essere appreso con fatica.
Girò intorno alla casa per andare a orinare nella macchia. Ritornò direttamente nella casa passando per il retro.
Pensai che l'incarico di scoprire il preteso posto della felicità era un suo espediente per mandarmi via, ma mi alzai e cominciai a camminare lentamente avanti e indietro. Il cielo era chiaro. Potevo vedere tutto sia nel portico che intorno. Devo aver camminato a passi lenti per un'ora o più, ma non accadde nulla che rivelasse la situazione del posto. Mi stancai di passeggiare e mi sedetti; dopo qualche minuto mi sedetti da un'altra parte, e quindi in un altro posto ancora, finché non ebbi coperto l'intero pavimento in una maniera semi-sistematica. Cercai deliberatamente di 'sentire' differenze tra i posti, ma non avevo criteri di differenziazione. Sentii che stavo perdendo tempo, ma rimasi. La mia idea era che ero venuto da lontano semplicemente per vedere don Juan, e in realtà non avevo altro da fare.
Mi distesi sulla schiena mettendo le mani sotto la testa come un cuscino. Quindi mi girai e mi stesi per un poco sullo stomaco. Ripetei questo processo rotolatorio per tutto il pavimento. Per la prima volta pensai di essermi imbattuto in un vago criterio. Sentivo più caldo quando stavo disteso sulla schiena.
Mi rotolai di nuovo, questa volta nella direzione opposta, e di nuovo percorsi il pavimento in tutta la sua lunghezza, giacendo a faccia in giù nei punti dove ero stato a faccia in su durante il mio precedente rotolamento. Esperimentai le medesime sensazioni di caldo e di freddo, che dipendevano dalla mia posizione, ma non c'era differenza tra i posti.
Allora mi venne un'idea che mi sembrò brillante: il posto di don Juan! Mi ci sedetti sopra, e poi mi distesi, prima a faccia in giù, e poi sulla schiena, ma il posto era esattamente uguale a tutti gli altri. Mi alzai. Ne avevo avuto abbastanza. Volevo dire addio a don Juan ma mi imbarazzava svegliarlo. Guardai l'orologio. Erano le due di mattina! Ero stato a rotolare per sei ore.
In quel momento don Juan uscì e girò intorno alla casa nella macchia.
Ritornò e si fermò sulla porta. Mi sentivo profondamente scoraggiato e volevo dirgli qualcosa di spiacevole e andarmene. Ma mi resi conto che non era colpa sua; che avevo subito tutte quelle assurdità per mia scelta; ero stato tutta la notte a rotolarmi sul suo pavimento come un idiota e ancora non riuscivo a comprendere il suo indovinello.
Rise e disse che ciò non lo sorprendeva perché non avevo agito nella maniera giusta. Non avevo usato gli occhi. Era vero, tuttavia ero certo che egli mi aveva detto di sentire la differenza. Gli feci questa obiezione, ma mi rispose che si può sentire con gli occhi, quando gli occhi non stanno guardando direttamente nelle cose. Per quanto mi riguardava, disse, non avevo altro mezzo per risolvere questo problema se non usare tutto quello che avevo: gli occhi.
Rientrò. Ero certo che era stato a guardarmi. Pensai che solo così poteva sapere che non avevo usato gli occhi.

Cominciai di nuovo a rotolare, perché quello era il sistema più comodo. Questa volta, tuttavia, appoggiai il mento sulle mani e osservai ogni dettaglio.
Dopo un certo tempo l'oscurità intorno a me cambiò. Quando misi a fuoco gli occhi sul punto direttamente di fronte a me, tutta l'area periferica del mio campo visivo prese una colorazione giallo verdastra omogenea e brillante. L'effetto era sconvolgente. Tenni gli occhi fissi sul punto di fronte a me e cominciai a strisciare lateralmente sullo stomaco, un piede per volta.
Improvvisamente, in un punto vicino al centro del pavimento, divenni consapevole di un altro cambiamento di colore. In un punto alla mia destra, ancora nella periferia del mio campo visivo, il giallo verdastro diventava di un rosso intenso. Concentrai la mia attenzione su di esso. Il rosso svaniva in un colore pallido, ma ancora brillante, che rimase costante per tutto il tempo in cui mantenni su di esso la mia attenzione.

Segnai il punto con la giacca, e chiamai don Juan che uscì fuori sul portico. Ero veramente eccitato; avevo realmente visto il cambiamento di colori. Don Juan sembrò non essere affatto impressionato, ma mi disse di sedermi sul punto e riferirmi che tipo di sensazione provassi.
Sedetti e quindi mi distesi sulla schiena. Don Juan rimase in piedi accanto a me e mi chiese ripetutamente che cosa sentivo; ma non sentivo nulla di differente. Per circa quindici minuti cercai di sentire o vedere una differenza, mentre don Juan rimaneva pazientemente in piedi accanto a me. Mi sentivo disgustato. Avevo in bocca un sapore metallico. Improvvisamente mi era venuto mal di testa. Stavo per sentirmi male. Il pensiero dell'assurdità dei miei sforzi mi irritava fino alla collera. Mi alzai.
Don Juan doveva aver notato la mia profonda frustrazione. Non rise, ma osservò molto seriamente che dovevo essere inflessibile con me stesso se volevo imparare. Davanti a me c'erano solo due possibilità, disse: alzarmi e andarmene, nel qual caso non avrei mai imparato, oppure risolvere l'indovinello.
Rientrò: volevo partire immediatamente, ma ero troppo stanco per guidare; inoltre, la percezione di quei colori era stata così impressionante che ero certo che ci fosse un criterio di qualche tipo, e forse c'erano altri cambiamenti da scoprire. Comunque, era troppo tardi per partire. Così mi rimisi a terra allungando indietro le gambe, e ricominciai tutto da capo.
Durante questa fase mi mossi rapidamente attraverso ciascun posto, passando il posto di don Juan, fino al termine del pavimento, e poi girai intorno per arrivare all'altra estremità. Quando raggiunsi il centro mi resi conto che stava avendo luogo un altro cambiamento di colorazione, ancora ai limiti del mio campo visivo. Il verde pallido uniforme che vedevo in tutta l'area si trasformava, in un punto alla mia destra, in un netto color verderame. Rimase così per un momento e quindi bruscamente si trasformò in un'altra tinta costante, differente dall'altra che avevo scoperto prima. Presi una scarpa e segnai il punto, e continuai a rotolare fino a che non ebbi misurato il pavimento in tutte le direzioni possibili. Non avvenne nessun altro cambiamento di colorazione.
Ritornai al punto segnato con la scarpa, e lo esaminai. Era situato a uno o due metri di distanza dal punto segnato con la giacca, in direzione sud-est. C'era vicino un grosso sasso. Mi sedetti lì per qualche tempo cercando di trovare indizi, guardando ogni dettaglio, ma non sentii nulla di differente.
Decisi di provare l'altro punto. Ruotai rapidamente sulle ginocchia ed ero sul punto di stendermi sulla giacca quando provai un timore insolito. Era più come una sensazione fisica di qualcosa che spingesse effettivamente sul mio stomaco. Balzai in piedi e mi ritrassi in un solo movimento. I capelli mi si rizzarono sulla nuca. Le gambe mi si erano leggermente inarcate, il busto era piegato in avanti, e le braccia sporgevano davanti a me con le dita contratte come artigli. Mi resi conto della mia strana posizione e la mia paura aumentò.
Camminai all'indietro involontariamente e sedetti sul sasso vicino alla mia scarpa. Dal sasso caddi sul pavimento. Cercai di immaginare che cosa fosse successo per causarmi una tale paura. Pensai che dovesse essere stata la stanchezza che provavo. Era quasi giorno. Mi sentivo stupido e imbarazzato. Tuttavia non avevo modo di spiegare quello che mi aveva spaventato, né avevo immaginato quello che voleva don Juan.
Decisi di fare un ultimo tentativo. Mi alzai e mi accostai lentamente al punto segnato con la giacca, e di nuovo provai lo stesso timore. Questa volta feci un grande sforzo per controllarmi. Sedetti, e quindi mi inginocchiai per potermi stendere a faccia in giù, ma non potei stendermi a dispetto della mia volontà. Misi le mani sul pavimento davanti a me. Il mio respiro era accelerato; il mio stomaco era sottosopra. Avevo una netta sensazione di panico, e lottai per non fuggire. Pensai che forse don Juan mi stava osservando. Lentamente strisciai indietro fino all'altro punto e appoggiai la schiena contro il sasso. Volevo riposarmi per un poco per organizzare i miei pensieri, ma caddi addormentato.
Sentii don Juan parlare e ridere sopra il mio capo. Mi svegliai.
"Hai trovato il posto", disse.
Da principio non lo compresi, ma mi assicurò nuovamente che il posto in cui ero caduto addormentato era il posto in questione. Mi chiese di nuovo come mi sentissi lì disteso. Gli dissi che in realtà non notavo nessuna differenza.
Mi chiese di confrontare le mi sensazioni di quel momento con quello che avevo provato stando disteso sull'altro punto. Per la prima volta mi venne in mente che probabilmente non potevo spiegare il mio timore della notte precedente. Quasi con un atteggiamento di sfida mi esortò a sedere sull'altro posto. Per una qualche ragione inesplicabile avevo effettivamente paura dell'altro posto, e non mi ci sedetti sopra. Affermò che solo uno stupido poteva non vedere la differenza.
Gli chiesi se ciascuno dei due posti avesse un nome speciale. Disse che quello buono era detto il sitio e quello cattivo il nemico; disse che questi due posti erano la chiave del benessere di un uomo, specialmente per un uomo che ricercava la conoscenza. Il puro e semplice atto del sedersi sul proprio posto creava una forza superiore. D'altra parte, il posto nemico indeboliva un uomo e avrebbe potuto anche causarne la morte. Disse che avrei ricuperato le mie energie, che avevo speso a profusione la notte precedente, schiacciando un pisolino sul mio posto.
Disse anche che i colori che avevo visto in associazione con ciascun posto specifico avevano lo stesso effetto globale di dare forza o di toglierla.
Gli chiesi se per me esistevano altri posti come i due che avevo scoperto, e come avrei potuto fare per trovarli. Rispose che molti posti nel mondo erano paragonabili a questi due, e che la maniera migliore per scoprirli era distinguere i rispettivi colori.
Non mi era chiaro se avessi risolto o no il problema, e in effetti non ero neppure convinto che ci fosse stato un problema. Non potei evitare di pensare che tutta l'esperienza era imposta e arbitraria. Ero certo che don Juan mi aveva osservato per tutta la notte e poi aveva continuato ad assecondarmi dicendo, dovunque fossi caduto addormentato, che quello era il posto che stavo cercando. Tuttavia non riuscii a vedere una ragione logica per tale atto, e quando mi sfidò a sedermi sull'altro posto non potei farlo. C'era uno strano contrasto tra la mia spiacevole esperienza del timore dell' 'altro posto' e le mie riflessioni razionali in merito a tutta la faccenda.
Don Juan, d'altra parte, era sicurissimo che io fossi riuscito, e, agendo in conformità al mio successo, mi comunicò che intendeva insegnarmi a conoscere il peyote.
"Mi hai chiesto di insegnarti di Mescalito", disse. "Ho voluto scoprire se avevi abbastanza spina dorsale per incontrarlo a faccia a faccia. Mescalito non è qualcosa da prendere per divertimento. Devi avere la padronanza di tutte le tue risorse. Adesso posso prendere il tuo desiderio come di per sé una buona ragione per imparare".
"Davvero intendete istruirmi sul peyote?".
"Preferisco chiamarlo Mescalito. È la stessa cosa".
"Quando intendete incominciare?".
"Non è così semplice. Prima devi essere pronto".
"Credo di essere pronto".
"Questo non è un gioco. Devi aspettare fino a che non ci sia ombra di dubbio, e allora lo incontrerai".
"Devo prepararmi?".
"No. Devi semplicemente aspettare. Potresti abbandonare del tutto l'idea dopo un certo tempo. Ti stanchi facilmente. Ieri sera eri pronto ad andartene non appena le cose diventavano difficili. Mescalito richiede un intento molto serio".

Nessun commento:

Posta un commento