martedì 26 giugno 2012

la complessità dal KaliYuga al Tao - III

Bruce Torrence, Lisbon Oriente Station, Panoramic Photograph, 2011


5. L'emergere del concetto di complessità
Tuttavia, la complessità è rimasta sempre sconosciuta nella fisica, in biologia, nelle scienze sociali. Certo, dopo più di mezzo secolo, la parola complessità irruppe, ma in un dominio che rimase impermeabile alle scienze umane e sociali, nonché alle stesse scienze naturali. E' al centro di una sorta di spirale nebulosa di matematici e ingegneri in cui emerse circa allo stesso tempo, e divenne connessa contemporaneamente, negli anni quaranta e cinquanta, con la Teoria dell'Informazione, la Cibernetica e la Teoria Generale dei Sistemi. All'interno di questa nebulosa, la complessità apparirà con Ashby per definire il grado di varietà in un dato sistema. La parola compare, ma non contamina, in quanto il nuovo modo di pensare rimane abbastanza limitato: i contributi di Von Neumann, di Von Foerster rimarranno completamente ignorati, e ancora rimangono nel campo delle scienze disciplinari chiuse su se stesse. Si può anche dire che la definizione di Chaitin di casualità come incomprimibilità algoritmica diventa applicabile alla complessità. Di conseguenza, i termini caso, disordine, complessità tendono a sovrapporsi tra loro e talvolta essere confusi.
Ci sono state crepe, ma non ancora un'apertura.
Ciò sarebbe venuto dal Santa Fe Institute (1984) in cui la parola sarà fondamentale per definire i sistemi dinamici con un gran numero di interazioni e retroazioni, all'interno dei quali avvengono processi molto difficili da prevedere e controllare, come "sistemi complessi", dove la concezione classica non ha potuto essere considerata.
Così, i dogmi o i paradigmi della scienza classica hanno cominciato ad essere in discussione.
La nozione di emergenza è apparsa. In "Il Caso e la Necessità”, Jacques Monod crea un grande stato di emergenza, vale a dire qualità e proprietà che compaiono una volta che l'organizzazione di un sistema vivente è costituita, qualità che evidentemente non esistono quando si presentano isolatamente. Questa nozione è presa, qua e là, sempre di più, ma come semplice constatazione, senza mai essere indagata (mentre è una bomba concettuale).
E' così che si arrivò alla complessità che io chiamo "ristretta": la parola complessità è introdotta nella "teoria dei sistemi complessi"; in aggiunta, qua e là l'idea di "scienze della complessità" fu introdotta, comprendente la concezione frattalista e la teoria del caos.
La complessità ristretta si diffuse piuttosto recentemente, e dopo un decennio in Francia, molte barriere sono state superate. Perché? Perché sempre di più un vuoto teorico è stato affrontato, perché le idee del caos, dei frattali, del disordine e dell'incertezza sono apparse, ed è stato necessario in questo momento che la parola complessità dovesse comprenderle tutte. Solo che questa complessità è limitata ai sistemi che possono essere considerati complessi perché empiricamente sono presentati in una molteplicità di processi interconnessi, interdipendenti e associati retroattivamente. In realtà, la complessità non è mai in discussione né pensata epistemologicamente.
Qui il taglio epistemologico tra complessità ristrette e generalizzate appare perché penso che qualsiasi sistema, qualunque esso sia, è complesso per sua stessa natura.
La complessità ristretta ha reso possibili importanti progressi nella formalizzazione, nelle possibilità di modellamento, che essi stessi favoriscono le potenzialità interdisciplinari. Ma si rimane ancora all'interno dell’epistemologia della scienza classica. Quando uno cerca le "leggi della complessità", ancora affronta la complessità come una sorta di carro dietro la locomotiva della verità, quella che produce le leggi. Un ibrido è stato costituito tra i principi della scienza tradizionale e i progressi verso il suo seguito. In realtà, si evita il problema fondamentale della complessità che è epistemologico, cognitivo, paradigmatico. In una certa misura, si riconosce la complessità, ma decomplessificandola. In questo modo, la breccia è aperta, quindi si cerca di intasarla: il paradigma della scienza classica rimane, solo fessurato.

6. Complessità generalizzata
Ma allora, che cos’è la complessità "generalizzata"? Essa richiede, ripeto, un ripensamento epistemologico, vale a dire, influenzando l'organizzazione della conoscenza stessa.
Ed è un problema paradigmatico nel senso in cui ho definito "paradigma". Dal momento che un paradigma di semplificazione controlla la scienza classica, imponendo un principio di riduzione e un principio di disgiunzione ad ogni conoscenza, vi dovrebbe essere un paradigma della complessità che imporrebbe un principio di distinzione e un principio di congiunzione.
In opposizione alla riduzione, la complessità richiede che si cerchi di comprendere le relazioni tra il tutto e le parti. La conoscenza delle parti non è sufficiente, la conoscenza del tutto nel suo complesso non è sufficiente, se si ignorano sue parti; si è quindi portati a fare un andare e venire in un ciclo per raccogliere la conoscenza del tutto e delle sue parti. Pertanto, il principio di riduzione è sostituito da un principio che concepisce il rapporto di tutto-parte come una reciproca implicazione.
Il principio di disgiunzione, di separazione (tra gli oggetti, tra discipline, tra le nozioni, tra soggetto e oggetto della conoscenza), dovrebbe essere sostituito da un principio che mantiene la distinzione, ma che tenta di stabilire la relazione.
Il principio del determinismo generalizzato dovrebbe essere sostituito da un principio che concepisce un rapporto tra ordine, disordine e organizzazione. Essendo naturalmente che l'ordine non vuol dire solo leggi, ma anche stabilità, regolarità, l'organizzazione di cicli, e che il disordine non è solo dispersione, disgregazione, può anche essere il blocco, collisioni, le irregolarità.
Prendiamo ora ancora una volta la parola di Weaver, da un testo del 1948, a cui spesso ci riferiamo, che dice: il XIX secolo fu il secolo della complessità disorganizzata e il XX secolo deve essere quello della complessità organizzata.
Quando disse "complessità disorganizzata", pensò all'irruzione della seconda legge della termodinamica e delle sue conseguenze. Complessità organizzata significa per i nostri occhi che i sistemi stessi sono complessi perché la loro organizzazione presuppone, comprende, o produce complessità.
Di conseguenza, un problema principale è la relazione, inseparabile (mostrato in La Methode 1), tra la complessità disorganizzata e la complessità organizzata.
Parliamo ora circa le tre nozioni che sono presenti, ma a mio parere non proprio effetivamente pensate, nella complessità ristretta: le nozioni di sistema, emergenza, e organizzazione.

7. Sistema: Si dovrebbe concepire che "ogni sistema è complesso"
Che cos'è un sistema? Si tratta di un rapporto tra le parti che possono essere molto diverse l'una dall'altra e che costituiscono un tutto al tempo stesso organizzato, organizzante e organizzatore.
A questo proposito, la vecchia formula è conosciuta come che il tutto è maggiore della somma delle sue parti, perché l'aggiunta di caratteristiche o proprietà delle parti non è sufficiente per conoscere quelle del tutto: nuove qualità o proprietà appaiono, grazie alla organizzazione di queste parti in un tutto, sono emergenti.
Ma c'è anche un sottrattività che voglio sottolineare, notando che il tutto non è solo più della somma delle sue parti, ma è anche inferiore alla somma delle sue parti.
Perché?
Poiché un certo numero di caratteristiche e proprietà presenti nelle parti può essere inibita dall’organizzazione del tutto. Così, anche quando ciascuna delle nostre cellule contiene la totalità del nostro patrimonio genetico, solo una piccola parte di esso è attiva, il resto essendo inibita. Nei rapporti umani della società individuale, le possibilità di libertà (delinquente o criminale al limite) inerente a ciascun individuo, sarà inibita dall'organizzazione della polizia, dalle leggi e dall'ordine sociale.
Di conseguenza, come diceva Pascal, dovremmo concepire il rapporto circolare: 'non si possono conoscere le parti, se il tutto non è noto, ma non si può conoscere il tutto se le parti non sono note'.
Così, la nozione di organizzazione diventa capitale, dal momento che è attraverso l'organizzazione delle parti in un tutto che appaiono le qualità emergenti e le qualità inibite scompaiono.

8. Emergenza della nozione di emergenza
Ciò che è importante nell’emergenza è il fatto che è indeducibile dalle qualità delle parti, e quindi irriducibile; appare soltanto dividendo l'organizzazione dell'insieme. Questa complessità è presente in qualsiasi sistema, partendo da H2O, la molecola d'acqua che ha un certo numero di caratteristiche o proprietà che l'idrogeno o l’ossigeno separati non hanno, i quali hanno qualità che la molecola d'acqua non ha.
C'è un numero recente della rivista Science et Avenir dedicata all’emergenza; al mettere in relazione l'emergenza e l’organizzazione, ci si chiede se sia una forza nascosta nella natura, una virtù intrinseca.
Dalla scoperta della struttura dell’eredità genetica nel DNA, dove è apparso che la vita era costituita da ingredienti fisico-chimici presenti nel mondo materiale, quindi dal momento che è evidente che non c’è una specifica meteria vivente, una specifica sostanza vivente , che non vi è un élan vital nel senso di Bergson, ma solo la materia fisico-chimica che con un certo grado di complessità organizzata produce le qualità della vita – tra le quali l’auto-riproduzione, l’auto-riparazione, nonché un certo numero di attitudini cognitive o informative, a partire da questo momento, il vitalismo è respinto, il riduzionismo dovrebbe essere respinto, ed è la nozione di emergenza che richiede una capitale importanza, dal momento che un certo tipo di complessità organizzata produce qualità specifiche di autoorganizzazione.
Lo spirito (mens, mente) è un’emergenza. E' il rapporto cervello-cultura che produce come emergenti  qualità mentali psichiche, con tutto ciò che coinvolge il linguaggio, la coscienza, ecc.
I riduzionisti non sono in grado di concepire la realtà dello spirito e vogliono spiegare tutto a partire dai neuroni. Gli spiritualisti, incapaci di concepire l'emergere dello spirito a partire dalla relazione cervello-cultura, fanno del cervello al massimo un tipo di televisore.

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