mercoledì 9 gennaio 2013

Tao incompleto


XI - L'UTILITÀ DEL NON-ESSERE

Trenta raggi si uniscono in un solo mozzo
e nel suo non-essere si ha l'utilità del carro,
s'impasta l'argilla per fare un vaso
e nel suo non-essere si ha l'utilità del vaso,
s'aprono porte e finestre per fare una casa
e nel suo non-essere si ha l'utilità della casa.
Perciò l'essere costituisce l'oggetto
e il non-essere costituisce l'utilità.


Nella descrizione dell'emergenza dei processi mentali e della coscienza un punto centrale, per nulla evidente - anzi, invisibile -, è quello dell'assenza, come descritto da Terrence W. Deacon:
La scienza è arrivata al punto in cui possiamo disporre con precisione singoli atomi su una superficie metallica, o identificare il continente degli antenati di una persona analizzando il DNA dei suoi capelli. Ironia della sorte, però, ci manca una comprensione scientifica di come possano le frasi scritte in questo libro essere riferite ad atomi, DNA o qualunque altra cosa. È un problema serio. In sostanza significa che il meglio della nostra scienza ― quell’insieme di teorie che presumibilmente arriva più vicino a spiegare ogni cosa ― non include proprio questa fondamentalissima caratteristica distintiva del fatto che io sono io e tu, lettore, sei tu. In effetti, la nostra attuale “teoria del tutto” implica che noi non esistiamo, se non come collezioni di atomi.
Cos’è che manca, dunque? Per dirlo con un po’ di ironia, e in stile enigmatico, manca qualcosa che manca.
Consideriamo i seguenti fatti familiari. Il significato di una frase non è il gruppo di scarabocchi che rappresentano le lettere su un pezzo di carta o su uno schermo. Non sta nei suoni che questi scarabocchi possono farci emettere. Non è neppure il ronzio dei neuroni nel cervello di chi legge. Ciò che significa una frase, e ciò cui essa si riferisce, manca proprio delle proprietà che le cose devono tipicamente avere per fare una differenza nel mondo. L’informazione trasmessa da questa frase non ha massa, né quantità di moto, né carica elettrica, né solidità, e neppure una chiara estensione nello spazio, dentro di noi o intorno a noi, o da qualsiasi altra parte. Più sconcertante ancora, le frasi che state leggendo in questo momento potrebbero essere insensate, e in tal caso non ci sarebbe nulla, nel mondo, cui potrebbero corrispondere. Ma persino questa proprietà di pretendere di avere un significato farà una differenza concreta nel mondo se influenzerà, in un modo o nell’altro, il pensiero o l’azione di una persona.
Ovviamente, malgrado questo qualcosa di non presente che caratterizza il contenuto dei miei pensieri e il senso di queste parole, le ho scritte per i significati che ― forse ― potrebbero trasmettere. Ed è presumibile che questo sia il motivo per cui tu, lettore, stai focalizzando il tuo sguardo su di esse, e che potrebbe spingerti a fare un certo sforzo mentale per trovarci un senso. In altre parole, il contenuto di questa, o di ogni altra frase ― qualcosa che non è una cosa ― ha conseguenze fisiche. Ma come fa?
Il significato non è la sola cosa che presenti un problema di questo tipo. Parecchie altre relazioni del nostro quotidiano condividono questo aspetto problematico. La funzione di una pala non è la pala né il buco nel terreno, ma la possibilità di fare buchi più facilmente che ci mette a disposizione. Ciò a cui si riferisce la mano che fa un gesto di saluto non è il movimento della mano, e neppure la convergenza fisica degli amici, ma l’avvio di una possibile condivisione di pensieri ed esperienze richiamate alla memoria. Lo scopo del mio scrivere questo libro non è battere sui tasti, né depositare inchiostro su pezzi di carta, e neppure produrre e far distribuire un gran numero di copie di un libro come oggetto materiale; sta nel condividere qualcosa che non è contenuto in nessuno di questi processi e oggetti della realtà fisica: idee. E, bizzarramente, è proprio perché queste idee mancano di simili attributi fisici che possono essere condivise con decine di migliaia di lettori senza mai esaurirsi. Cosa ancora più enigmatica, accertare il valore di questa impresa è quasi impossibile da ricollegare a qualche specifica conseguenza fisica. È qualcosa di quasi interamente virtuale: forse nulla più che rendere certe idee più facili da concepire o, se i miei sospetti dovessero risultare corretti, accrescere la nostra sensazione di avere un posto nell’universo.
Ogni fenomeno di questo genere ― funzioni, riferimenti, propositi, valori ― è in qual-che modo incompleto. C’è qualcosa che non è lì. Senza questo “qualcosa” che manca non sarebbero che puri e semplici eventi od oggetti fisici, destituiti di questi altrimenti curiosi attributi. Nostalgia, desiderio, passione, appetito, lutto, perdita, aspirazione ― son tutti basati su un’analoga intrinseca incompletezza, un “essere privi” che di essi è parte integrante.
Nel riflettere su questo curioso stato delle cose, mi colpisce il fatto che non c’è una specifica parola che sembri riferirsi a questo elusivo carattere delle cose di questo tipo. Quindi, a rischio di iniziare questa discussione con un goffo neologismo, mi riferirò a questo carattere chiamandolo assenziale, per denotare i fenomeni la cui esistenza è determinata in riferimento a un’essenziale assenza. Assenza che può essere di uno stato di cose ancora non realizzatosi, dello specifico e separato oggetto di una rappresentazione, di un tipo di proprietà generale che potrebbe esistere o no, una qualità astratta, un’esperienza e così via; ma non ciò che effettivamente è presente. Questa paradossale qualità intrinseca di esistere in rapporto a qualcosa di mancante, separato e che può anche non esistere è irrilevante quando si tratta di cose inanimate, ma è una delle proprietà che definiscono la vita e la mente. Una teoria completa del mondo che includa noi stessi e la nostra esperienza del mondo deve trovare un senso al modo in cui siamo formati da questo specifico tipo di assenze e in cui da esse emergiamo. Ciò che è assente conta, eppure la nostra attuale comprensione dell’universo fisico suggerisce che non dovrebbe avere alcuna importanza. Dalle scienze naturali sembra essere assente ogni ruolo causale per l’assenza.
(...)
Finché continueremo a non essere in grado di spiegare in che modo queste curiose relazioni tra qualcosa che non c’è e ciò che è presente possano fare una differenza nel mondo, resteremo ciechi alle possibilità di un nuovo vasto reame del sapere. Prevedo un tempo, nel prossimo futuro, in cui questi paraocchi finalmente cadranno, e si aprirà una porta che mette in comunicazione queste due culture attualmente incompatibili del sapere, quella fisica da una parte e quella del significato dall’altra; e questa casa divisa si ritroverà unita.
In questo libro propongo un modesto passo iniziale verso l’obiettivo di unificare queste due maniere di concettualizzare il mondo e il posto che occupiamo in esso, che per tanto tempo sono rimaste isolate e apparentemente incompatibili. Sono consapevole che nel-l’articolare questi pensieri corro il rischio di incorrere in una sorta di eresia scientifica. Quasi certamente, molte reazioni iniziali saranno sprezzanti: “Ma questo genere di idee non era stato relegato da un bel pezzo nella pattumiera della storia?” “Influenza causale dell’assenza? Poesia, non scienza”. “Scemenze mistiche”.
(...)
L’attuale esclusione di queste relazioni da ogni legittimo ruolo nelle nostre teorie sul funzionamento del mondo ha implicitamente negato la nostra stessa esistenza.

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