martedì 26 giugno 2012

la complessità dal KaliYuga al Tao - III

Bruce Torrence, Lisbon Oriente Station, Panoramic Photograph, 2011


5. L'emergere del concetto di complessità
Tuttavia, la complessità è rimasta sempre sconosciuta nella fisica, in biologia, nelle scienze sociali. Certo, dopo più di mezzo secolo, la parola complessità irruppe, ma in un dominio che rimase impermeabile alle scienze umane e sociali, nonché alle stesse scienze naturali. E' al centro di una sorta di spirale nebulosa di matematici e ingegneri in cui emerse circa allo stesso tempo, e divenne connessa contemporaneamente, negli anni quaranta e cinquanta, con la Teoria dell'Informazione, la Cibernetica e la Teoria Generale dei Sistemi. All'interno di questa nebulosa, la complessità apparirà con Ashby per definire il grado di varietà in un dato sistema. La parola compare, ma non contamina, in quanto il nuovo modo di pensare rimane abbastanza limitato: i contributi di Von Neumann, di Von Foerster rimarranno completamente ignorati, e ancora rimangono nel campo delle scienze disciplinari chiuse su se stesse. Si può anche dire che la definizione di Chaitin di casualità come incomprimibilità algoritmica diventa applicabile alla complessità. Di conseguenza, i termini caso, disordine, complessità tendono a sovrapporsi tra loro e talvolta essere confusi.
Ci sono state crepe, ma non ancora un'apertura.
Ciò sarebbe venuto dal Santa Fe Institute (1984) in cui la parola sarà fondamentale per definire i sistemi dinamici con un gran numero di interazioni e retroazioni, all'interno dei quali avvengono processi molto difficili da prevedere e controllare, come "sistemi complessi", dove la concezione classica non ha potuto essere considerata.
Così, i dogmi o i paradigmi della scienza classica hanno cominciato ad essere in discussione.
La nozione di emergenza è apparsa. In "Il Caso e la Necessità”, Jacques Monod crea un grande stato di emergenza, vale a dire qualità e proprietà che compaiono una volta che l'organizzazione di un sistema vivente è costituita, qualità che evidentemente non esistono quando si presentano isolatamente. Questa nozione è presa, qua e là, sempre di più, ma come semplice constatazione, senza mai essere indagata (mentre è una bomba concettuale).
E' così che si arrivò alla complessità che io chiamo "ristretta": la parola complessità è introdotta nella "teoria dei sistemi complessi"; in aggiunta, qua e là l'idea di "scienze della complessità" fu introdotta, comprendente la concezione frattalista e la teoria del caos.
La complessità ristretta si diffuse piuttosto recentemente, e dopo un decennio in Francia, molte barriere sono state superate. Perché? Perché sempre di più un vuoto teorico è stato affrontato, perché le idee del caos, dei frattali, del disordine e dell'incertezza sono apparse, ed è stato necessario in questo momento che la parola complessità dovesse comprenderle tutte. Solo che questa complessità è limitata ai sistemi che possono essere considerati complessi perché empiricamente sono presentati in una molteplicità di processi interconnessi, interdipendenti e associati retroattivamente. In realtà, la complessità non è mai in discussione né pensata epistemologicamente.
Qui il taglio epistemologico tra complessità ristrette e generalizzate appare perché penso che qualsiasi sistema, qualunque esso sia, è complesso per sua stessa natura.
La complessità ristretta ha reso possibili importanti progressi nella formalizzazione, nelle possibilità di modellamento, che essi stessi favoriscono le potenzialità interdisciplinari. Ma si rimane ancora all'interno dell’epistemologia della scienza classica. Quando uno cerca le "leggi della complessità", ancora affronta la complessità come una sorta di carro dietro la locomotiva della verità, quella che produce le leggi. Un ibrido è stato costituito tra i principi della scienza tradizionale e i progressi verso il suo seguito. In realtà, si evita il problema fondamentale della complessità che è epistemologico, cognitivo, paradigmatico. In una certa misura, si riconosce la complessità, ma decomplessificandola. In questo modo, la breccia è aperta, quindi si cerca di intasarla: il paradigma della scienza classica rimane, solo fessurato.

6. Complessità generalizzata
Ma allora, che cos’è la complessità "generalizzata"? Essa richiede, ripeto, un ripensamento epistemologico, vale a dire, influenzando l'organizzazione della conoscenza stessa.
Ed è un problema paradigmatico nel senso in cui ho definito "paradigma". Dal momento che un paradigma di semplificazione controlla la scienza classica, imponendo un principio di riduzione e un principio di disgiunzione ad ogni conoscenza, vi dovrebbe essere un paradigma della complessità che imporrebbe un principio di distinzione e un principio di congiunzione.
In opposizione alla riduzione, la complessità richiede che si cerchi di comprendere le relazioni tra il tutto e le parti. La conoscenza delle parti non è sufficiente, la conoscenza del tutto nel suo complesso non è sufficiente, se si ignorano sue parti; si è quindi portati a fare un andare e venire in un ciclo per raccogliere la conoscenza del tutto e delle sue parti. Pertanto, il principio di riduzione è sostituito da un principio che concepisce il rapporto di tutto-parte come una reciproca implicazione.
Il principio di disgiunzione, di separazione (tra gli oggetti, tra discipline, tra le nozioni, tra soggetto e oggetto della conoscenza), dovrebbe essere sostituito da un principio che mantiene la distinzione, ma che tenta di stabilire la relazione.
Il principio del determinismo generalizzato dovrebbe essere sostituito da un principio che concepisce un rapporto tra ordine, disordine e organizzazione. Essendo naturalmente che l'ordine non vuol dire solo leggi, ma anche stabilità, regolarità, l'organizzazione di cicli, e che il disordine non è solo dispersione, disgregazione, può anche essere il blocco, collisioni, le irregolarità.
Prendiamo ora ancora una volta la parola di Weaver, da un testo del 1948, a cui spesso ci riferiamo, che dice: il XIX secolo fu il secolo della complessità disorganizzata e il XX secolo deve essere quello della complessità organizzata.
Quando disse "complessità disorganizzata", pensò all'irruzione della seconda legge della termodinamica e delle sue conseguenze. Complessità organizzata significa per i nostri occhi che i sistemi stessi sono complessi perché la loro organizzazione presuppone, comprende, o produce complessità.
Di conseguenza, un problema principale è la relazione, inseparabile (mostrato in La Methode 1), tra la complessità disorganizzata e la complessità organizzata.
Parliamo ora circa le tre nozioni che sono presenti, ma a mio parere non proprio effetivamente pensate, nella complessità ristretta: le nozioni di sistema, emergenza, e organizzazione.

7. Sistema: Si dovrebbe concepire che "ogni sistema è complesso"
Che cos'è un sistema? Si tratta di un rapporto tra le parti che possono essere molto diverse l'una dall'altra e che costituiscono un tutto al tempo stesso organizzato, organizzante e organizzatore.
A questo proposito, la vecchia formula è conosciuta come che il tutto è maggiore della somma delle sue parti, perché l'aggiunta di caratteristiche o proprietà delle parti non è sufficiente per conoscere quelle del tutto: nuove qualità o proprietà appaiono, grazie alla organizzazione di queste parti in un tutto, sono emergenti.
Ma c'è anche un sottrattività che voglio sottolineare, notando che il tutto non è solo più della somma delle sue parti, ma è anche inferiore alla somma delle sue parti.
Perché?
Poiché un certo numero di caratteristiche e proprietà presenti nelle parti può essere inibita dall’organizzazione del tutto. Così, anche quando ciascuna delle nostre cellule contiene la totalità del nostro patrimonio genetico, solo una piccola parte di esso è attiva, il resto essendo inibita. Nei rapporti umani della società individuale, le possibilità di libertà (delinquente o criminale al limite) inerente a ciascun individuo, sarà inibita dall'organizzazione della polizia, dalle leggi e dall'ordine sociale.
Di conseguenza, come diceva Pascal, dovremmo concepire il rapporto circolare: 'non si possono conoscere le parti, se il tutto non è noto, ma non si può conoscere il tutto se le parti non sono note'.
Così, la nozione di organizzazione diventa capitale, dal momento che è attraverso l'organizzazione delle parti in un tutto che appaiono le qualità emergenti e le qualità inibite scompaiono.

8. Emergenza della nozione di emergenza
Ciò che è importante nell’emergenza è il fatto che è indeducibile dalle qualità delle parti, e quindi irriducibile; appare soltanto dividendo l'organizzazione dell'insieme. Questa complessità è presente in qualsiasi sistema, partendo da H2O, la molecola d'acqua che ha un certo numero di caratteristiche o proprietà che l'idrogeno o l’ossigeno separati non hanno, i quali hanno qualità che la molecola d'acqua non ha.
C'è un numero recente della rivista Science et Avenir dedicata all’emergenza; al mettere in relazione l'emergenza e l’organizzazione, ci si chiede se sia una forza nascosta nella natura, una virtù intrinseca.
Dalla scoperta della struttura dell’eredità genetica nel DNA, dove è apparso che la vita era costituita da ingredienti fisico-chimici presenti nel mondo materiale, quindi dal momento che è evidente che non c’è una specifica meteria vivente, una specifica sostanza vivente , che non vi è un élan vital nel senso di Bergson, ma solo la materia fisico-chimica che con un certo grado di complessità organizzata produce le qualità della vita – tra le quali l’auto-riproduzione, l’auto-riparazione, nonché un certo numero di attitudini cognitive o informative, a partire da questo momento, il vitalismo è respinto, il riduzionismo dovrebbe essere respinto, ed è la nozione di emergenza che richiede una capitale importanza, dal momento che un certo tipo di complessità organizzata produce qualità specifiche di autoorganizzazione.
Lo spirito (mens, mente) è un’emergenza. E' il rapporto cervello-cultura che produce come emergenti  qualità mentali psichiche, con tutto ciò che coinvolge il linguaggio, la coscienza, ecc.
I riduzionisti non sono in grado di concepire la realtà dello spirito e vogliono spiegare tutto a partire dai neuroni. Gli spiritualisti, incapaci di concepire l'emergere dello spirito a partire dalla relazione cervello-cultura, fanno del cervello al massimo un tipo di televisore.

a volte il Tao ritorna a nuoto


Tutti gli uomini vissuti sulla Terra, circa 100 miliardi, rinascono e ritornano a ondate...

«I primi tornarono a nuoto la notte del secondo giorno. A sciami, nelle ore disabitate, entrarono in acqua dai porti addormentati, dai moli senza nome, dalle anonime rive di melma ed erba dimenticate sulla terraferma, e nuotarono lenti in mezzo alla laguna illuminata e oscurata a intermittenza dalla luna e dalle nuvole, uscirono dal mare come granchi o come rane, arrampicandosi sui pali, sulle barche ormeggiate, sulle scale intagliate nella pietra e invasero le isole.
Per molte ore nessuno li vide».

venerdì 22 giugno 2012

il Te del Tao: XL - DOVE ANDARE E CHE ADOPERARE


XL - DOVE ANDARE E CHE ADOPERARE

Il tornare è il movimento del Tao,
la debolezza è quel che adopra il Tao.
Le diecimila creature che sono sotto il cielo
hanno vita dall'essere,
l'essere ha vita dal non-essere.

mercoledì 20 giugno 2012

il dolce suono del Tao




Il dolce suono mi colpi di sua voce!
Ah, quella voce m'e qui nel cor discesa!
Edgardo! io ti son resa, Edgardo, mio!
fuggita io son de tuoi nemici.
Un gelo me serpeggia nel sen!
trema ogni fibra!
vacilla il pie!
Presso la fonte meco t'assidi al quanto!
Ohime, sorge il tremendo fantasma e ne separa!
Qui ricovriamo, Edgardo, a pie dell'ara.
Sparsa e di rose!
Un armonia celeste, di, non ascolti?
Ah, l'inno suona di nozze!
Il rito per noi s'appresta! Oh, me felice!
Oh gioia che si sente, e non si dice!
Ardon gl'incensi!
Splendon le sacre faci, splendon intorno!
Ecco il ministro!
Porgime la destra!
Oh lieto giorno!
Al fin son tua, al fin sei mia,
a me ti dona un Dio.

del Tao dei giochi e della serietà - I


Figlia Papà, queste conversazioni sono serie?
Padre Certo che lo sono.
F. Non sono una specie di gioco che tu fai con me?
P. Dio non voglia ... sono però una specie di gioco che noi facciamo insieme.
F. Allora non sono serie!


P. E se tu mi dicessi che cosa significano per te 'serio' e 'gioco'?
F. Be' ... se tu ... non lo so.
P. Se io che cosa?
F. Cioè ... le conversazioni sono serie per me, ma se tu stai solo giocando ...
P. Piano, piano. Guardiamo che cosa c'è di buono e che cosa c'è di male nel 'giocare' e nei 'giochi'. In primo luogo non m'interessa - non molto - vincere o perdere. Quando le tue domande mi mettono con le spalle al muro, allora certo mi sforzo un po' di più per pensare bene e vedere con chiarezza quello che voglio dire. Ma non baro e non ti preparo trappole; non c'è alcuna tentazione d'imbrogliare.
F. Ecco, è proprio così. Per te non è una cosa seria: è un gioco. Quelli che imbrogliano, semplicemente non sanno cosa vuol dire 'giocare'; trattano un gioco come se fosse una cosa seria.
P. Ma è una cosa seria.
F. No, non lo è ... per te non lo è.
P. Perché non voglio imbrogliare?
F. Sì... anche per quello.
P. Ma tu vuoi imbrogliare continuamente?
F. No, naturalmente no.
P. Allora?
F. Oh, papà, non capirai mai.
P. Credo proprio di no.


P. Guarda, ho segnato una specie di punto a mio favore proprio adesso, quando ti ho fatto ammettere che tu non vuoi imbrogliare ... e poi ho concluso che dunque le conversazioni non sono 'serie' neppure per te. Ti sembra una specie d'imbroglio?
F. Sì ... una specie.
P. D'accordo ... lo credo anch'io. Scusami.
F. Vedi, papà ... se io imbrogliassi o volessi imbrogliare, vorrebbe dire che non prenderei sul serio le cose di cui stiamo parlando. Vorrebbe dire che io starei solo facendo un gioco con te.
P. Sì, questo è ragionevole.


F. Ma no, non è ragionevole, papà. È un terribile pasticcio.
P. Sì ... un pasticcio ... ma che funziona.
F. Ma come, papà?


P. Aspetta un momento. È difficile dirlo. Prima di tutto ... penso che queste conversazioni ci facciano fare qualche progresso. A me piacciono molto e credo che piacciano anche a te. E poi, a parte questo, credo che si riesca a sistemare qualche idea e credo che i pasticci servano. Cioè ... se tutti e due parlassimo sempre in modo coerente, non faremmo mai alcun progresso; non faremmo che ripetere come pappagalli i vecchi clichés che tutti hanno ripetuto per secoli.
F. Che cos'è un cliché, papà?
P. Un cliché? È una parola francese, credo che in origine fosse un termine tipografico. Quando si stampa una frase, si devono prendere le lettere separatamente e metterle una per una in una specie di sbarra scanalata per comporre la frase. Ma per parole e frasi che la gente usa spesso, il tipografo tiene piccole sbarre di lettere già bell'e pronte. E queste frasi già fatte si chiamano clichés.
F. Ma adesso ho dimenticato quello che stavi dicendo dei clichés, papà.
P. Sì... parlavo dei pasticci in cui ci cacciamo durante queste conversazioni e dicevo che cacciarsi nei pasticci, in un certo modo, è una cosa sensata. Se non ci cacciassimo nei pasticci, i nostri discorsi sarebbero come giocare a ramino senza prima mescolare le carte.
F. Sì, papà ... ma quelle cose ... le sbarre di lettere già pronte?
P. I clichés? Sì ... è la stessa cosa. Tutti noi abbiamo un bel po' di frasi e di idee bell'e pronte, e il tipografo ha sbarre di lettere bell'e pronte, tutte ben sistemate in frasi. Ma se il tipografo vuole stampare qualcosa di nuovo, per esempio una cosa in una lingua straniera, dovrà disfare tutte quelle vecchie disposizioni di lettere. Allo stesso modo, per pensare idee nuove e dire cose nuove, dobbiamo disfare tutte le idee già pronte e mescolare i pezzi.
F. Ma, papà, il tipografo non mescolerà tutte le lettere, no? Non le mescolerà tutte in un sacco per poi scuoterle. Le metterà una per una ai loro posti. .. tutte le a in una scatola, tutte le b in un'altra, e tutte le virgole in un'altra, e così via.
P. Sì, è vero. Altrimenti diventerebbe matto a cercarne una a quando ne ha bisogno.


Metalogue: About Games and Being Serious; from ETC: A Review of General Semantics, Vol. X, 1953.

a volte il Tao ritorna


Dio piazza i gomiti sul tavolo, stringe le mani
e si china verso i santi riuniti:
«Che cazzo stà succedendo sulla Terra?»

‘Do you think that when Jesus comes back he’s ever gonna want to see a fucking cross again?
Kinda like going up to Jackie Onassis with a little sniper’s rifle pendant …’
BILL HICKS

Dio ritorna in ufficio dopo - finalmente! - una settimana di vacanza a pescare. Ma il tempo in Paradiso scorre più lentamente che sulla Terra - quando è partito era il Rinascimento e le cose non andavano poi tanto male - ma ora è il 2011 e Jeannie, la sua segrataria, è preoccupata: "E ora chi glielo dice al Capo il casino che stà succedendo laggiù?".
E intanto Gesù, che doveva ogni tanto buttare un occhio, se la sciala allegramente bevendo birra, sparandosi giganteschi cannoni d'erba paradisiaca e improvvisando riff di blues con Jimi Endrix...

Quand'è che le cose hanno cominciato ad andare a puttane? Colpa di Mosè, forse. Quel falsario. Uno dei primi a cedere al protagonismo. Quando era arrivato in cima al Sinai e aveva messo gli occhi su quell'unica tavola perfettamente cesellata - le parole

FATE I BRAVI

incise nell'elegante corsivo inglese di Dio - aveva dato fuori di matto. Tutto quel can can e lui doveva, cosa?, scendere e dire: «Ehi ragazzi, fate i bravi! Be', non c'è altro. In bocca al lupo per tutto»? Col cazzo. E cosí quel figlio di mignotta si era messo sotto con lo scalpello. Quaranta sudati giorni di lavoro su quella sequela di minchiate. Quella stronzata del «Non desiderare la donna d'altri»? Tipico di Mosè. (Quante pedate nel culo s'era beccato quand'era arrivato qui? Dio gli aveva assestato la prima appena quel coglione aveva varcato la soglia, e aveva smesso solo nei Secoli Bui: almeno un centinaio d'anni. Alla fine ci aveva le chiappe che sembravano due barbabietole bollite). Poi di male in peggio. L'interpretazione. La fiera del «Io-credo-di-sapere-cosa-voleva-dire-Dio». Sbadabum: un millennio dopo qualche sciroccato taglia la gola ai neonati e se li getta alle spalle perché crede di avere Dio dalla sua parte. Cosa cazzo c'era da interpretare in «FATE I BRAVI»? La stessa, identica domanda che Dio aveva ripetuto per secoli, mentre prendeva a pedate Mosè. In ogni caso, ormai la frittata è fatta, pensa Dio con un sospiro, mentre si rende conto della piega che stanno prendendo i Suoi pensieri. Qualcuno avrebbe dovuto rispiegare al genere umano cosa significa «FATE I BRAVI».

martedì 19 giugno 2012

il Tao di Gaia

"Wherever we see life,
from bacteria to large-scale ecosystems,
we observe networks with components that interact with one another
in such a way that the entire network regulates and organize itself"
F. Capra (1996)
 
All'inizio degli anni 60 James Lovelock lavorava come consulente presso il Jet Propulsion Laboratories della NASA ad un progetto di esobiologia teso a determinare in quali condizioni e per quali parametri chimicofisici dell'atmosfera e della superficie (come la composizione dell'atmosfera e del suolo, la temperatura, pressione, presenza di acqua etc.) un pianeta possa ospitare la vita.
Il progetto era parte integrante per la preparazione del lancio del programma Viking, la missione verso Marte di due veicoli spaziali (I e II), avvenuta il 20 Agosto e il 9 Settembre 1975, consistenti ognuno di due sonde, la prima - l'Orbiter - destinata ad orbitare intorno al pianeta e la seconda - il Lander - progettata per atterrare sulla superficie e raccogliere dati.
Nel corso del suo lavoro Lovelock studiò i dati fisico-chimici terrestri, l'unico esempio di pianeta conosciuto che ospiti - per certo - la vita, avendo in mente una sua precedente idea: che le speci viventi sulla Terra potessero modificare, anche attivamente, i parametri ambientali globali del pianeta.
In Biologia, ed in particolare nella teoria dell'evoluzione, è ritenuto fondamentale e scontato che l'ambiente influisca e modifichi le speci nel senso:
ambiente speci 
nel significato classico darwiniano e post-darwiniano dove l'ambiente "filtra" e seleziona le mutazioni genetiche casuali, mentre è considerata un'eresia il supporre che le speci viventi, anche il loro insieme globale planetario, possa influenzare e modificare l'ambiente:
ambiente speci
dato che un sottosistema non può influenzare il proprio sovrasistema globale.

Nel corso del suo lavoro Lovelock incontrò dei dati che supportavano la sua ipotesi, ad esempio i dati dei principali componenti chimici negli oceani e di gas nell'atmosfera terrestre indicano che il pianeta è molto lontano dell'equilibrio chimico:

A comparison of the composition of the oceans and the air of the present world
and of a hypothetical chemical equilibrium world


Principal components per cent

Substance
Present world
Equilibrium world
AIR
Carbon dioxide
0.03
98

Nitrogen
78
1

Oxygen
21
0

Argon
1
1
OCEAN
Water
96
85

Salt
3.5
13

e allo stesso modo confrontando i dati terrestri di equilibrio (senza vita) e attuali con quelli di altri pianeti come Venere e Marte risultava che i dati terrestri sono molto lontani da quelli dei pianeti, che sono invece simili a quelli dell'equilibrio:

Gas
Planet

Venus
Earth without life
Mars
Earth as it is
Carbon dioxide
98%
98%
95%
0.03%
Nitrogen
1.9%
1.9%
2.7%
78%
Oxygen
trace
trace
0.13%
21%
Argon
0.1%
0.1%
2%
1%
Surface temperatures °C
477
290±50
–53
13
Total pressure bars
90
60
0.064
1.0

cosa che faceva supporre che né su Venere né su Marte sia presente la vita. Nel corso degli anni Lovelock analizzò ed elaborò una vasta serie di dati, dalla geochimica alla paleontologia, per verificare la sua ipotesi, ad esempio:
Predictions, tests and results relevant to the Gaia theory. Source: James Lovelock
Prediction Test Result
Mars is lifeless (1988) Atmospheric compositional evidence shows lack of disequilibrium Strong confirmation, Viking mission 1975
Biogenic gases transfer elements from ocean to land (1971) Search for oceanic sources of dimethyl sulphide and methyl iodide Found 1973
Climate regulation through biologically enhanced rock weathering (1973) Analysis of ice-core data linking temperature and CO2 abundance Confirmed 2008, by Zeebe and Caldeira
Gaia is aged and is not far from the end of its development (1982) Calculation based on generally accepted solar evolution Generally accepted
Climate regulation through cloud albedo control linked to algal gas emissions (1987) Many tests have been made but the excess of pollution interferes Probable for southern hemisphere
Oxygen has not varied by more than 5 percent from 21 percent for the past 200 million years (1974) Ice-core and sedimentary analysis Confirmed for up to 1 million years ago
Boreal and tropical forests are part of global climate regulation Models and direct observation Generally accepted
Biodiversity a necessary part of climate regulation By models but not yet in the natural ecosystems Jury still out
The current interglacial is an example of systems failure in a physiological sense (1994) By models only Undecided
The biological transfer of selenium from the ocean to the land as dimethyl selenide Direct measurements Confirmed 2000, Liss

Negli anni 70 Lovelock dette alla sua idea il nome di "Ipotesi di Gaia", ed insieme alla microbiologa Lynn Margulis lavorò allo sviluppo della sua teoria elaborando dati sulla salinità degli oceani, sulla regolazione dell'ossigeno nell'atmosfera e sulla temperatura al suolo, raccolti nel primo libro pubblicato nel 1979.
Il termine "Gaia" deriva, secondo Lovelock:

"The word ‘Gaia’ came from my friend and near neighbour, the novelist William Golding. He thought that such an idea should be named Gaia after the Greek goddess of the Earth."

"The concept of Mother Earth, or as the Greeks called her long ago, Gaia, has been widely held throughout history. As a result of the accumulation of evidence about the natural environment and the growth of the science of ecology, there has recently been speculation that the biosphere may be more than just the complete range of all living things within their natural habitat of soil, sea, and air."

La dea Gaia, o Gea,  è nella mitologia greca la Dea che impersonifica la Terra e che, secondo Esiodo circa nel 700 a.C., da sola e senza congiungersi con nessuno, generò Urano (il cielo stellato) Ponto (le sterili profondità del mare) e le montagne, e congiungendosi con Urano generò i Titani Oceano, Ceo, Crio, Iperione, Giapeto, Teia, Rea, Temi, Mnemosine, Febe e Teti e Crono.
Il mito della Terra come una Dea si ritiene sia tra i più antichi, se non il più antico dell'umanità, risalente alla preistoria. Ad esempio si ritrova nella "Venere di Willendorf",  una statuetta di 11 cm. di altezza raffigurante una donna, ritrovata nel 1908 e custodita al Naturhistorisches Museum Wien. Una datazione del reperto stima la sua realizzazione nel Paleolitico tra 25.000 e 26.000 anni fa, unendola ad una serie di ritrovamenti conosciuti come "veneri paleolitiche" di cui la più antica, la venere di Tan-Tan, ha una datazione che va dal 500.000 al 300.000 a.C.

In numerose tradizioni la genesi della vita viene concepita come l'unione tra un elemento femminile, la "Madre Terra", ed uno maschile, ad esempio "Padre Cielo".

Nella sua prima formulazione l'ipotesi di Gaia si basa sull'assunto che gli oceani, i mari, l'atmosfera, la crosta terrestre e tutte le altre componenti geofisiche del pianeta si mantengano in condizioni idonee alla presenza della vita proprio grazie al comportamento degli organismi viventi. Ad esempio la temperatura, lo stato d'ossidazione, l'acidità, la salinità e altri parametri chimico-fisici fondamentali per la presenza della vita presentano valori costanti su periodi di tempo geologici.

"..... the physical and chemical condition of the surface of the Earth, of the atmosphere, and of the oceans has been and is actively made fit and comfortable by the presence of life itself. This is in contrast to the conventional wisdom which held that life adapted to the planetary conditions as it and they evolved their separate ways."

Il modello di Gaia è quello di un sistema complesso globale che nella relazione tra ambiente e speci presenta processi dinamici globali di feedback attivo, generati dal biota in modo autononomo, che portano all'omeostasi - stabilizzazione e conservazione - del sovrasistema globale complessivo. Inoltre tutte queste variabili non mantengono un equilibrio costante nel tempo ma evolvono in sincronia con il biota, per cui i fenomeni evoluzionistici non riguardano solo gli organismi o l'ambiente naturale, ma l'intera Gaia.
Il sistema di Gaia, che non è identificabile solo con la biosfera né con il biota, i quali sono solo due elementi che la compongono, comprende:
  • Organismi viventi che crescono e si riproducono sfruttando ogni possibilità che l'ambiente concede.
  • Organismi soggetti alle leggi della selezione naturale darwiniana.
  • Organismi che modificano costantemente il loro ambiente chimico-fisico, cosa che avviene costantemente come semplice effetto di tutti quei processi fondamentali per la vita, come la respirazione, la fotosintesi ecc.
  • Fattori limitanti che stabiliscano i limiti superiori ed inferiori della vita. L'ambiente può presentare temperature eccessivamente alte o basse per l'affermarsi della vita in un dato ambiente, ugualmente per fattori quali le concentrazioni di sali, minerali, composti chimici etc.

La relazione tra ambiente e speci è quindi, secondo la teoria di Gaia, del tipo coevolutivo a chiusura circolare ricursiva:
ambiente speci

compatibile, ad esempio, con la teoria della deriva naturale della filogenesi sviluppata da Maturana e Varela.

Nel corso degli anni lo stesso Lovelock ha ridimensionato la sua ipotesi, formulando una teoria di Gaia "debole" - contrapposta ad una "forte", dove si ipotizza che il biota influenzi in modo minimo alcuni aspetti dei fattori abiotici, ad esempio la temperatura e l'atmosfera.
L'ipotesi e la teoria di Gaia sono state ampiamente criticate dai biologi evoluzionisti, ironizzando sulla ricerca del "più grande organismo vivente della Terra", ed in particolare dal più famoso tra essi, Stephen Jay Gould, che dichiarò nel 1997: "Gaia mi sembra una metafora, non un meccanismo. (Le metafore possono essere liberatorie e illuminanti, ma le nuove teorie scientifiche devono fornire nuove dichiarazioni circa la causalità. Gaia, per me, sembra solo riformulare, in termini diversi, le conclusioni fondamentali da lungo raggiunte dagli argomenti classici della teoria riduzionista dei cicli biogeochimici)".


Se la relazione:

ambiente speci

in cui le speci viventi modificano il proprio sovrasistema ambientale è, in generale, inaccettabile dalla teoria evoluzionistica classica, è invece un dato di fatto per quanto riguarda la specie dominante del pianeta, Homo. Nel corso degli ultimi due secoli i processi innescati dalla sua diffusione e attività sono diventati, oltre che locali, di tipo globale. Le conseguenze di questi processi dinamici globali sono o direttamente distruttive, o impredicibili nella loro evoluzione a causa delle componenti caotiche oppure, oltre che impredicibili, anche sconosciute, in quanto la situazione presente non è mai avvenuta precedentemente nella storia del pianeta.

L'ipotesi di Gaia in quanto tale probabilmente rimarrà - in ambito accademico - un'ipotesi, dato che esperimenti conclusivi, concepiti da Lovelock, sono di fatto impraticabili per la scala planetaria del sistema coinvolto, anche se diversi importanti test elencati nella tabella precedente hanno avuto una diretta conferma sperimentale.
Tuttavia, anche a livello di ipotesi, Gaia rimane un'affascinante interpretazione metaforica della vita sulla Terra.

lunedì 18 giugno 2012

giovedì 14 giugno 2012

la complessità dal KaliYuga al Tao - II


2. Complessità: una prima rottura: irreversibilità
Tuttavia, una prima breccia è comparsa entro l'universo scientifico nel corso del XIX secolo; la complessità sembrerebbe comparire da essa de facto prima di iniziare a essere riconosciuta de jure.
La complessità farebbe la sua comparsa de facto con la seconda legge della termodinamica, che indica che l'energia si degrada in forma calorica: questo principio si trova all'interno del campo di applicazione della irreversibilità del tempo, mentre fino ad allora le leggi fisiche erano in linea di principio reversibili e anche nel caso della concezione della vita, il fissarsi delle speci non necessita di tempo.
Il punto importante qui è non solo l'irruzione della irreversibilità, quindi del tempo, ma è anche l'apparizione del disordine in quanto il calore è concepito come l'agitazione delle molecole; il movimento disordinato di ogni molecola è imprevedibile, se non a una scala statistica in cui le leggi di distribuzione possono essere effettivamente determinate.
La legge della crescita irreversibile dell'entropia ha dato luogo a molteplici speculazioni, e oltre allo studio dei sistemi chiusi, una prima riflessione sull'universo, in cui la seconda legge conduce verso la dispersione, l'uniformità, e quindi verso la morte. Questa concezione della morte dell'universo, respinta molto tempo fa, è apparsa di recente in cosmologia, con la scoperta dell'energia oscura. Questo porterà alla dispersione delle galassie e sembrerebbe annunciarci che l'universo tende a una dispersione generalizzata. Come il poeta Eliot ha detto: "l'universo morirà in un sussurro" ...
Così, l'arrivo del disordine, dispersione, disintegrazione, costituiva un attacco fatale alla perfetta, ordinata, visione determinista.
E molti sforzi saranno necessari - non siamo lì proprio perché è contro il paradigma regnante - per capire che il principio della dispersione, che appare dalla nascita dell'universo con questa deflagrazione incredibile impropriamente chiamata big bang, è combinata ad un principio contrario di legame e di organizzazione che si manifesta nella creazione di nuclei, atomi, galassie, stelle, molecole, e la vita.

3. Interazione Ordine/Disordine/Organizzazione
Come è possibile che entrambi i fenomeni sono correlati?
Questo è ciò che ho cercato di mostrare nel primo volume de La Methode (il Metodo). Avremo bisogno di associare i principi antagonisti di ordine e disordine, e associarli facendo emergere un altro principio che è quello dell'organizzazione.
Questa è di fatto una visione complessa, che si è rifiutato di prendere in considerazione per molto tempo, poiché non si può concepire che il disordine possa essere compatibile con l'ordine, e che l'organizzazione possa essere legata in tutto al disordine, essendo antagonista ad esso.
Allo stesso tempo di quello dell'universo, l'ordine implacabile della vita è alterata. Lamarck introdusse l'idea di evoluzione, Darwin introdusse la variazione e la competizione come motori dell'evoluzione. Il Post-Darwinismo, se ne ha, in alcuni casi, attenuato il carattere radicale del conflitto, ha portato quest'altra antinomia dell'ordine: il caso, direi anche un vizio del caso. All'interno della concezione neodarwinista, per evitare di chiamare "creazione" o "invenzione" le nuove forme di organizzazione vivente come come ali, occhi - uno ha molta paura della parole "invenzione" e della parola "creazione" - si è messo il caso sulla prua. Si può capire il resto della paura della creazione perché la scienza rifiuta il creazionismo, cioè l'idea che Dio è un creatore di forme viventi. Ma il rifiuto del creazionismo finisce nel mascherare la creatività che si manifesta nella storia della vita e nella la storia dell'umanità. E, da un punto di vista filosofico, è piuttosto recentemente che Bergson, e poi in un altro modo, Castoriadis, mettono al centro della loro concezione l'idea della creazione.
Inoltre, all'inizio del ventesimo secolo, la microfisica ha introdotto una fondamentale incertezza nell'universo di particelle che cessa di obbedire alle concezioni di spazio e di tempo caratteristiche del nostro universo chiamato macro-fisico. Come quindi questi due universi, che sono gli stessi, ma in scala diversa, sono compatibili? Si comincia oggi a concepire che uno può passare dal micro-universo fisico al nostro, dal momento che tra di loro un certo numero di elementi quantistici sono collegati, in virtù di un processo chiamato decoerenza. Ma resta il formidabile iato logico e concettuale tra le due fisiche.
Infine, in una scala molto ampia - mega-fisica - la teoria di Einstein scopre che lo spazio e il tempo sono collegati l'uno all'altro, con il risultato che la nostra realtà vissuta e percepita diventa solo meso-fisica, situata tra la realtà micro-fisica e la realtà mega-fisica.

4. Caos
Tutto ciò ha fatto che i dogmi della scienza classica si raggiungono, ma de facto: sebbene sempre più mummificati, rimangono.
Eppure, un certo numero di termini strani appaiono. Ad esempio, il termine "catastrofe", suggerita da René Thom per cercare di rendere intelligibili i cambiamenti discontinui di forma, poi il frattalismo di Mandelbrot, poi le teorie fisiche del caos, che distingue sé stesso dal resto, sino ad oggi si è pensato che il sistema solare, che sembra obbedire a un ordine assolutamente impeccabile e misurabile con la precisione più estrema, considerando la sua evoluzione in milioni di anni, è un sistema caotico che comprende una instabilità dinamica modificante ad esempio la rotazione della Terra intorno a sé stessa o intorno al Sole. Un processo caotico può obbedire a stati iniziali deterministici, ma questi non possono essere conosciuti in modo esaustivo, e le interazioni sviluppate entro questo processo alterano ogni previsione. Variazioni trascurabili hanno conseguenze notevoli su scale temporali di grandi dimensioni. La parola caos, in queste fisiche, ha un significato molto limitato: quello di disordine apparente e imprevedibilità. Il determinismo viene salvato in linea di principio, ma non è operativo poiché non si può conoscere esaustivamente gli stati iniziali. Siamo di fatto, dal momento della deflagrazione originale e per sempre, immersi in un universo caotico.

mercoledì 13 giugno 2012

Tao de-stabilizzante e ri-costruente


Uto, un ragazzo di Milano con grande talento di pianista, in seguito al suicidio del patrigno viene mandato dalla madre presso amici di famiglia a Peaceville, una comunità spirituale del Connecticut, in cui si vorrebbe stabilizzare il suo carattere introverso e a volte crudele. Uto però si rivelerà un virus all’interno di un organismo apparentemente sano, mandando in tilt l’intero equilibrio che era stato costruito con tanta fatica.



In un caldo pomeriggio di maggio, uno sconosciuto che ha perso la strada si ferma alla casa di Pietro e Astrid, due tessitori artigianali che vivono sulle colline marchigiane. Lo sconosciuto dice di chiamarsi Durante, ha pochissimi bagagli e un passato misterioso; non conosce il senso del possesso, e sembra del tutto incapace di mentire. Astrid ne è immediatamente affascinata, come quasi tutte le donne che lui incontra. Pietro – il narratore della storia – prova invece nei suoi confronti una profonda irritazione, come quasi tutti gli uomini.

Dopo un quarto d'ora Durante ha preso il cavallo per le redini e l'ha portato verso la staccionata, ha aiutato Samantha a smontare. Samantha ha toccato terra in malo modo, si è aggiustata subito i pantaloni e i capelli e le maniche della camicia. Ha detto "Mamma mia, che fatica".
Il marito ha detto "Allora? Ce l'ha la stoffa dell'amazzone?".
"No" ha detto Durante, senza enfasi.
"Cosa?" ha detto Samantha. Si è girata a guardarlo, leggermente teatrale.
"Non ce l'hai" ha detto Durante. Aveva un'espressione triste, con appena un accenno di sorriso.
"Be', può imparare, no?" ha detto il marito. "In un tot di lezioni?".
"Non credo" ha detto Durante, come se non ci fossero in gioco il suo interesse professionale e le loro malriposte aspirazioni.
"Come sarebbe?" ha detto Samantha, sembrava incerta su che atteggiamento assumere.
"È che non hai nessun senso dell'equilibrio" ha detto Durante. Aveva questo modo di calcare sulle parole chiave, ma per il resto il suo tono era pacato.
"Come si permette, questo?" ha detto Samantha, rivolta al marito e in parte anche a me e Astrid che assistevamo alla scena. "Ho fatto otto anni di danza classica, io!".
"Non sono serviti" ha detto Durante, sempre in forma di semplice constatazione.
"Scusi tanto, signor maestro" ha detto il marito, alzando la voce. "L'equilibrio non dovrebbe insegnarglielo lei?".
"Ci vorrebbero anni" ha detto Durante. "E non basterebbero, senza una disposizione mentale totalmente diversa".
"Eh?" ha detto il marito, sempre più stizzito. "Allora a cosa servono queste lezioni? Per cosa paghiamo noi?".
"A niente, in questo caso" ha detto Durante. "E non dovete pagarmi".
"Io non ci credo!" ha detto Samantha la sua ormai ex allieva, vibrava di indignazione.
"Mi faccia capire un attimo, signor maestro" ha detto il marito. "Quale sarebbe il problema?".
"L'attenzione" ha detto Durante. "È totalmente incapace di ascoltare dentro di sé, o fuori".
"Ma che stai a dire?" ha detto la tipa. "Ma cccche stttai a ddddire?". Continuava a passarsi una mano tra i capelli, girare su se stessa.
"Che razza di discorsi sono?" ha detto il marito. Come sua moglie e anche me e Astrid, era forse più sconcertato dai modi di Durante che dalle sue parole: dall'apparente candore con cui diceva la verità senza usare nessuno dei filtri della normale cortesia sociale.
"Vale anche per te, naturalmente" ha detto Durante, senza cambiare tono. "Se riuscissi a vederti dal di fuori, con quel telefonino. Non hai smesso un attimo di fare e ricevere chiamate, perché non sei in grado di essere qui".
"Oh, chi ti autorizza a dire 'ste cose?" ha detto il marito. "Chi ti au-to-riz-za-aa?". Agitava avanti e indietro una mano con le dita chiuse, ritto sulle punte dei piedi per essere alla sua altezza d'occhi.
"Ma, voi" ha detto Durante, lo guardava con i suoi occhi grigi. "Non avete chiesto la mia opinione?"

martedì 12 giugno 2012

la complessità dal KaliYuga al Tao - I

*Presented at the Colloquium “Intelligence de la complexité: épistémologie et pragmatique”, Cerisy-La-Salle, France, June 26th, 2005

Perché la problematica della complessità è apparsa così tardi? E perché dovrebbe essere giustificata?

1. I tre principi del rifiuto della complessità da parte della 'scienza classica'

La scienza classica ha respinto la complessità in virtù di tre principi esplicativi fondamentali:
  1. Il principio del determinismo universale, illustrato dal Demone di Laplace, in grado, grazie alla sua intelligenza ed ai sensi estremamente sviluppati, non solo di conoscere tutti gli eventi passati, ma anche di prevedere tutti gli eventi in futuro.
  2. Il principio di riduzione, che consiste nel conoscere qualunque composto con la sola conoscenza dei suoi elementi costitutivi fondamentali.
  3. Il principio di separazione, che consiste nell'isolare e separare le difficoltà cognitive una dall'altra, che porta alla separazione tra le discipline, che sono diventate ermetiche una dall'altra.
Questi principi hanno portato a sviluppi estremamente brillanti, importanti e positivi della conoscenza scientifica fino al punto in cui i limiti di intelligibilità che essi costituivano sono diventati più importanti delle loro delucidazioni.
In questa concezione scientifica, il concetto di "complessità" è assolutamente respinta. Da un lato, di solito significa confusione e incertezza; l'espressione "è complesso", infatti, esprime la difficoltà di dare una definizione o una spiegazione. D'altra parte, poiché il criterio di verità della scienza classica è espresso da leggi semplici e concetti, la complessità si riferisce solo alle apparenze che sono superficiali o illusorie. A quanto pare, i fenomeni nascono in un modo confuso e dubbioso, ma la missione della scienza è quello di cercare, dietro quelle apparenze, l'ordine nascosto che è la realtà autentica dell'universo.
Certo, la scienza occidentale non è sola nella ricerca della realtà "vera" dietro le apparenze, per l'Induismo, il mondo delle apparenze, il māyā è illusorio, e per il Buddhismo il saṃsāra, il mondo dei fenomeni, non è la realtà ultima. Ma la vera realtà, nel mondo hindù o buddhista, è inesprimibile e in casi estremi inconoscibile. Laddove, nella scienza classica, dietro le apparenze, vi è l'ordine impeccabile e implacabile della natura.
Infine, la complessità è invisibile nella divisione disciplinare del reale. Infatti, il primo significato della parola deriva dal complexus latino, che significa ciò che è tessuto insieme. La particolarità, non della disciplina in sé, ma della disciplina come è concepita, non-comunicante con le altre discipline, chiusa in se stessa, naturalmente disintegra la complessità.
Per tutte queste ragioni, si è capito perché la complessità è invisibile o illusoria, e perché il termine è stato deliberatamente rifiutato.

easy Tao



Esaurimento (9 di Bastoni)


Questo è il ritratto di una persona che ha esaurito tutta la sua forza vitale nello sforzo di alimentare l'enorme e ridicolo meccanismo della propria importanza e produttività. È stato così impegnato nel 'tenere tutto insieme', e nell'essere sicuro che le cose procedessero per il meglio, che si è di fatto scordato di riposare. Non stupisce che non si possa permettere di giocare. Abbandonare i suoi impegni per una corsa sulla spiaggia potrebbe significare il crollo dell'intera struttura. Il messaggio di questa carta, va detto, non si limita a un monito per gli stakanovisti del lavoro. Parla anche di tutti i modi in cui organizziamo routine sicure ma innaturali in cui esistere e, così facendo, teniamo fuori dalla porta ciò che è caotico e spontaneo. La vita non è un affare da amministrare, è un mistero da vivere. È tempo di stracciare il cartellino, uscire dalla fabbrica, e fare un viaggetto in qualche posto nuovo. Il tuo lavoro può fluire meglio, se parti da uno stato di rilassamento mentale.

Un uomo che vive in base alla coscienza, diventa rigido. Un uomo che vive in base alla consapevolezza resta delicato, gentile. Come mai? Perché è naturale che un uomo che ha idee precise su come vivere diventi rigido. Deve portarsi continuamente dietro il proprio carattere. Quel carattere è simile a un'armatura: è la sua protezione, la sua sicurezza. Tutta la sua vita è investita in quel carattere. Reagisce sempre alle situazioni in base al carattere, mai in modo diretto. Se gli fai una domanda, la sua risposta sarà preconfezionata. Questo è il segno che contraddistingue una persona coriacea, dura - è ottusa, stupida, meccanica. Può essere forse un buon computer, ma non è un essere umano. Tu fai qualcosa, ed egli reagisce in maniera oltremodo istituzionalizzata: la sua reazione è prevedibile, è un robot. Il vero uomo agisce spontaneamente. Se gli poni una domanda, la tua domanda ottiene una risposta, non una reazione. Egli apre il proprio cuore alla domanda, espone se stesso alla domanda, risponde a essa...

lunedì 11 giugno 2012

KaliYuga&Tao





















Evoluzione di un sistema dinamico ad elevata complessità - quali i sistemi socioculturali-economici umani -  in presenza di crash ("crisi") di sistema, proposto da Ervin László nel 1986. A partire dallo stato stazionario iniziale a sinistra, caratterizzato da fluttuazioni su un livello medio dei suoi parametri principali, il sistema sperimenta oscillazioni nei suoi parametri vitali sempre più ampie e diventa instabile, dovuto al fatto che i meccanismi omeostatici a feedback negativo di compensazione e stabilizzazione nei suoi sottosistemi non riescono più a compensare i runaway di feedback positivo. Al seguito di instabilità sempre più accentuate può insorgere un crash di sistema, caratterizzato da una rapida e drastica riduzione dei parametri di sistema. E' da notare come l'insorgere del crash sia deterministico ma di tipo caotico, e quindi imprevedibile. L'evoluzione di sistema a seguito del crash può essere di cinque tipi: 1) distruzione ("morte") diretta del sistema; 2) distruzione indiretta del sistema, dovuta al fatto che esso mantiene la stessa configurazione precedente ma "tenta" sulla base di drastici feedback negativi e impegni di risorse di ritornare allo stato precedente, cosa impossibile perchè i processi globali di runaway positivo sono passati oltre il punto di non-ritorno e sono diventati irreversibili; 3) processo di downgrade di sistema: esso mantiene la precedente configurazione ma riduce in modo drastico quantitativamente il valore dei suoi parametri vitali e si porta ad un nuovo stato stazionario caratterizzato da un livello medio più basso; 4) il sistema impegna tutte le risorse disponibili per "recuperare" ad un nuovo livello stazionario ma mantiene la stessa configurazione, tuttavia può non raggiungere uno stato stabile e "venir meno"; 5) il sistema oltre a impegnare risorse si riconfigura nella sua struttura e si "risolleva" verso un nuovo livello di stabilità caratterizzato da un valor medio superiore rispetto al precedente.
(da: E. László, Evolution: the General Theory, 1987-1996; Evoluzione, Feltrinelli, 1986), modificato.
Ervin László riprende il modello cibernetico in forma generale affermando che i sistemi viventi effettuano una auto-correzione verso la stabilità quando escono fuori dall'equilibrio. I sistemi biologici tendono a retroazionare in modo positivo e negativo fino a quando l'intero sistema incontra una minaccia alla sua sopravvivenza che non può risolvere con gli strumenti e le informazioni di cui dispone. Il grafico precedente proposto nel 1986 illustra l'evoluzione di sistema in presenza di instabilità caotiche crescenti e di un eventauale crash (rottura) di sistema.
Laszlo afferma che la specie umana si comporta come un sistema unitario e stà entrando (presso l'area denominata "NOW") in un'epoca estremamente destabilizzante della sua storia, il cui esito non è certo, ovvero è imprevedibile. L'umanità può semplicemente morire per la sua incapacità di risolvere i problemi circa il dominio e la violenza, o tentare di ristabilire la stabilità precedente o, se sufficienti informazioni vengono integrate rapidamente, possa essere in grado di saltare a un nuovo livello di funzionamento stabile.























Intervista di Paolo Cianconi, Davide Ferrararis, Emma Pizzini, Irene Luzi (febbraio 2008).
Pubblicata sul n. 17 di "La visione sottile", periodico di cultura transpersonale in Italia.
Editore:Om – Associazione per la medicina e la psicologiatranspersonale.

Questo libro sul caos ("Il punto del Caos", 2007) parla di una problematica attuale, ripresa in un nuovo libro che affronta in modo più scientifico la medesima questione; ... il libro del Caos è più dedicato alla problematica attuale ...

Siamo sei miliardi e mezzo di persone che interagiscono, come una rete simile alla rete neurologica, diciamo un'intelligenza comune e tutto questo fa sì che la cultura, non solo l'individuo, ma la cultura globale cambino insieme, lentamente, forse troppo lentamente ma c'è un cambiamento.

Troppo lento rispetto a che cosa?

Alla sfida, alla problematica del collasso ecologico, sociale ed economico cui stiamo assistendo

Quando le dicono questa cosa, cioè che la velocità con la quale noi prendiamo coscienza del problema è molto inferiore rispetto alla velocità con la quale procede il collasso, lei come risponde?

Bisognerebbe facilitare, accelerare il cambiamento della coscienza, cambiare i valori, cambiare la consapevolezza, facilitare la spinta, spingere avanti.

Perché parla di circa cinque anni?

Voglio dare questa data, la fine del 2012, come quella dell'archetipo dell'umanità. Tante persone ne parlano, diverse culture ne parlano come un punto chiave, un 'phase-change', un cambiamento profondo. La cosa importante non è dire che nel 2012 ci sarà un collasso, bensì considerare questa data come un punto oltre il quale sarebbe difficile tornare indietro.

Quanti come lei dicono questa cosa? 

Siamo sempre di più. 

Sempre di più a che livello? 

A livello di una cultura emergente, la cosiddetta cultura dei 'creativi culturali', o 'nuova cultura'. Abbiamo fondato anche un club in Italia, il Club Budapest-Italia, che potete trovare su internet. Ritengo che il 25-30% degli adulti vogliano trovare una nuova maniera di pensare.

Essenzialmente un 30% di persone sta modificando il pensiero?

Si, è pronto a modificare i valori e la percezione, benché non modifichi ancora molto i comportamenti. Ci vorrebbe più peso politico, più peso culturale; queste persone infatti sono tutt'ora piuttosto disperse. Quello che stiamo facendo qui in Italia è di creare una rete, che si chiama 'Rete Olistica' che consente a tutti coloro che sono interessati di registrarsi e prendere contatti diretti con altri che la pensano in questa maniera. C'è anche la possibilità di accedere a un'enciclopedia olistica.

Lei pensa che il passaggio dall'inconsapevolezza alla consapevolezza presenti degli stadi? Per cui, per esempio, abbiamo delle persone che sono inconsapevoli, delle persone che sono mediamente consapevoli e delle persone che sono efficacemente consapevoli?

Il problema è che non siamo arrivati al punto critico in chi questa nuova cultura possa esercitare un peso determinate dal punto di vista economico, industriale e politico. Le persone sono ancora isolate, anche se alcuni sono "avanti", sicuramente voi lo siete, no? Non siete così unici, forse abbastanza, ma non completamente.
Esiste una rete alternativa, una rete di creativi culturali, com'è stato rilevato in America attraverso un sondaggio che risale già a quasi 10 anni fa, per vedere come si sviluppa questa cultura. Una cultura ancora sotterranea, non ancora in grado di emergere pienamente nella coscienza collettiva. Ora questa rete si sta sviluppando anche in altri paesi quali l'Olanda, la Germania, il Giappone, l'Ungheria, la Francia e, ovviamente, anche in Italia; recentemente anche in Brasile.

Come emerge questa cultura, per quanto in misura limitata? Mediante esponenti di rilievo, oppure dei congressi?

Una grande spinta l'ha data la consapevolezza dell'insostenibilità del carico della società attuale sul pianeta, tutte queste cose le descrivo anche nel "Punto del Caos": non si può andare avanti così, questo dà la spinta.

Ma quanti sono consapevoli che così non si va avanti?

Secondo questo sondaggio più di quanto noi si pensi, benché i mezzi di comunicazione non reagiscano ancora. Ci sono media alternativi, ma sono piccoli giornali, piccoli radioamatori; la componente dominante, che esprime la corrente principale del flusso informativo, il 'mainstream', non reagisce ancora.

Lei ha una teoria sul perché non reagisce ancora?

Ci sono diverse teorie. Secondo me, la più probabile è che hanno paura, perché vogliono conservare la loro posizione dominante e questi cambiamenti sono sempre pericolosi per coloro che detengono il potere.

Non dovrebbe fare più paura l'apocalisse certa, rispetto al cambiamento?

Voi che siete psicologi sapete meglio di me che la prima reazione è ignorare, rimuovere, sopprimere, dire forte che non è vero o che ci sono ancora 50 anni e comunque la tecnologia potrà risolvere tutti i problemi, ecc. Sono scuse per non agire, per non prendere sul serio il problema. Quello che deve crescere è consapevolezza, più a livello periferico che al centro.

Quindi chi ha più consapevolezza? Un popolo di tipo occidentale o un popolo di tipo tradizionale in trasformazione? Perché viene da pensare che forse questa consapevolezza sia una questione più occidentale, visto che forse siamo noi che possiamo vedere in maniera più globale il disastro.

Forse noi abbiamo più bisogno di trasformazione, giacché una cultura di tipo ancora tradizionale vive più in armonia con il suo ambiente, è una società più stabile, mentre questa società moderna, all'avanguardia, quella tipo Americano, New York, Madison Avenue, ecc., si basa su concetti e valori obsoleti, che le grandi imprese continuano a promuovere e divulgare. Sono i valori del modernismo, della casa, dell'automobile, del televisore, del frigorifero, tutto ciò che è tipico del modernismo. Quando c'è un po' di sviluppo come adesso in India o in Cina, ci sono tante persone che vogliono avere un più alto livello di vita, non la qualità quanto piuttosto lo standard di vita, che è quantitativo, economico.

In qualche modo, lo sviluppo offusca la consapevolezza, perché crea delle zone d'ombra?

Sì, lo sviluppo modernista, lo sviluppo 'mainstream', quello sì.

E prevalentemente questo lo sviluppo che viene promosso o comunque divulgato.

Viene divulgato questo genere di sviluppo per l'interesse dei grandi sistemi, delle grandi imprese, le multinazionali. Vogliono vendere e promuovono un certo tipo di consumismo.

Ma, ai vertici di queste imprese, arriva la notizia che questo si sta traducendo in un grave rischio per la sopravvivenza dell'umanità e dell'ecosistema?

Sì, arriva. C'è un certo numero di imprese che inizia a rispondere, anche se non reagiscono molto velocemente. Il tema diventa più accessibile, più riconosciuto. Un esempio è anche la nostra famiglia. Ho due figli che lavorano in ambito simile: uno all'università e l'altro nel mondo dell'impresa, come consulente per il management. Ha lavorato per grandi imprese per una decina d'anni, poi ha detto basta e ha voluto fondare un proprio studio di consulenza per un management sostenibile. Ha cominciato 6/7 anni fa e i primi due anni non aveva praticamente clienti, o solamente piccolissime imprese, mentre negli ultimi 2 o 3 anni sono anche le grandi imprese a voler ricevere corsi e dunque informazioni su come fare. Lui dice che sono aperti, ma nella pratica non si vede ancora tanta differenza.

Dunque quello che ascoltano poi non viene tradotto in pratica. In genere, invece, l'auspicio di una formazione utile è ricevere informazioni, metabolizzarle, farle proprie e sulla base di quanto appreso cambiare la propria coscienza, in modo che dal cambiamento intellettuale derivi un cambiamento d'azione.

Individualmente sì. E nel cambiare i grandi sistemi che c'è rigidità: si manifesta un feedback negativo che elimina la divergenza. E difficile cambiare un meccanismo complesso. Presso le Nazioni Unite ho potuto notare che, benché ogni tanto vengano nominate persone veramente all'avanguardia, che pensano in maniera avanzata, una volta dentro al sistema non agiscono. Forse hanno paura o non trovano il modo di intervenire e quel sistema regge, regge da sé e governa i comportamenti al suo interno. E difficile da cambiare.

Come si dovrebbe fare per accelerare i tempi? Forse ce la faremmo, se avessimo più tempo, invece pare che il tempo di agire sia poco.

Alcuni dicono che, se abbiamo troppa consapevolezza della crisi, corriamo il rischio di farci paralizzare dalla paura. Io penso si debba correre questo rischio, perché non vedo altra soluzione. La consapevolezza della crisi imminente può catalizzare una trasformazione profonda.

Secondo lei, in che ambito gli esseri umani stanno esprimendo una maggiore reazione?

Nella ricerca spirituale. ...

Lei ritiene che rifarsi al tema della spiritualità possa velocizzare le cose?

Sì, perché chiama in causa una sensibilità che può arrivare a influenzare i comportamenti e quindi a dare una spinta di cambiamento attraverso la richiesta di prodotti e servizi sostenibili, come il biologico, ecc.

In definitiva, a suo parere, su quali punti l'umanità dovrebbe trovare presto un accordo per fermare il processo?

Fermare il riscaldamento dell'atmosfera, ridurre di molto l'inquinamento e dare accesso all'acqua, perché 3 miliardi di persone non hanno accesso sicuro all'acqua e in 10 anni la quota aumenterà del 50%. La fame è un grande problema, ma l'acqua non potabile è la causa principale della maggior parte delle malattie, come ci ricorda l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità).
Purtroppo, nonostante il 2006 sia stato dedicato all'acqua dallo Human Development Report, la mancanza di acqua continua ad aumentare e il livello delle falde sotterranee a diminuire. La popolazione cresce, soprattutto nelle grandi città, senza che se ne abbia una chiara conoscenza. Ad esempio, a Città del Messico si stima un aumento di circa due milioni, da 23 a 25, ma non se ne ha certezza.
Anche a Mosca vengono stimati 8 o 9 milioni di persone, ma ci sono almeno 3 milioni di abitanti che non si sa se ci sono o meno, in quanto si tratta di gente che passa, immigrati clandestini, ecc.
Secondo me, quindi, i tre punti principali d'intervento sono l'atmosfera, l'acqua e la giustizia sociale, perché il forte e crescente divario economico e sociale genera altrettanta frustrazione e violenza. La struttura della società è sempre più sotto stress.

Anche l'OMS parla degli effetti socio-economici della salute e li contestualizza proprio nel cosiddetto ambiente sociale: dove c'è disuguaglianza non c'è salute.

Ci sarebbe ancora la possibilità di avere risorse per tutti, fino a 8 miliardi persone, ma il potere e la ricchezza sono troppo concentrati e la maggioranza vive nella scarsità e non ha reale espressione politica.

Ma l'élite risente del cambiamento?

Ne risente ma non vuole essere consapevole, perché ha paura di perdere il potere. Alcuni bloccano coscientemente una trasformazione, altri sono dubbiosi ma per ora fanno come hanno sempre fatto.

Queste élite sono informate?

Ne sanno abbastanza, probabilmente. Il livello intellettuale e di cultura dell'élite è alto, ma cosa accada veramente nella testa di coloro che bloccano o non vogliono reagire è difficile da comprendere.

Forse sono troppo lontani dal problema, pensano di non rientrare nella possibile catastrofe, pensano che se l'acqua arriverà alta si troveranno al piano di sopra. Forse, come dicevamo, è la paura l'elemento chiave, la perdita dei vantaggi è un fattore importante.

Quando si parla con loro a livello individuale sono consapevoli, però la contestazione più ricorrente è che c'è una concorrenza molto stretta che obbliga a difendere la propria posizione secondo le logiche attuali. Chi abbandonasse la posizione verrebbe subito sostituito da altri e dunque non vuole sacrificarsi inutilmente.

Lei pensa che queste persone abbiano un pensiero sul futuro, si preoccupino della sorte dei figli, della generazione successiva?

Non molto, probabilmente. Quelli che sentono la necessità davvero di fare qualche cosa per gli altri sono le persone vicine al pensionamento, oppure i giovani, non coloro che sono attivi nel mercato del lavoro. Dal suo interno, il sistema è difficile da trasformare. Secondo la mia conoscenza dei sistemi complessi, a questo punto di biforcazione è difficile trasformare il sistema da dentro. Un sistema si trasforma quando arriva ad un punto abbastanza critico di insostenibilità, quando strutturalmente non regge più. La spinta però viene sempre da fuori. Gli elementi interni vogliono sostenere il sistema così com'è, senza cambiare niente. Il problema è che all'interno il potere è ben organizzato, mentre all'esterno c'è dispersione e mancanza d'organizzazione.

Forse gli elementi esterni che hanno coscienza sono ancora troppo distanti tra di loro? La rete effettivamente ancora non c'è?

Non è ancora abbastanza ampia e organizzata. Inoltre, gli esponenti di questa nuova componente sociale di creativi culturali pensano di essere meno numerosi di quanto non sia in realtà. Ad esempio, in America, quando i ricercatori domandano a costoro di stimare la loro dimensione, rispondono circa 5 milioni di adulti, mentre invece secondo i sondaggi sono 45 milioni. Dicono "siamo pochi", mentre potrebbero dire, con ragione "siamo tanti!"

Tornando a coloro che detengono il potere decisionale, lei ha pensato a qualche stimolo informativo specifico diretto a questo gruppo?

Come ho fatto nel libro 'Il punto del Caos', tratto appunto di queste problematiche. Di recente ho anche ricevuto alcuni inviti da grandi imprese, come BASF o Deutsche Bank, e il fatto che vogliano ascoltare è un buon segnale, ma poi non sembra che riescano a cambiare concretamente e in modo sostanziale le pratiche correnti.
Vi segnalo una cosa interessante: ho fatto una presentazione ad un gruppo che si chiama YPO, theYoung Presidents Organization, ne fanno parte circa 1.500 membri, tutti sotto i 35 anni pur essendo presidenti di società di un certo rilievo. Un invito che già in sé costituisce un buon segnale. Poco dopo ho ricevuto un invito da un'altra organizzazione, Young Enterpreneurs Organization, giovani imprenditori: stesso livello di impresa, stesso limite di età, ma la differenza è che sono imprenditori, non presidenti nominati, dunque proprio coloro che hanno il potere di agire, di trasformare le cose attraverso le loro imprese.
In questo gruppo, che ha più potere reale, credo sia diffuso il sentimento che un'apertura consenta l'opportunità di trarre profitto anche dalla crisi. In fondo, sono tutti giovani abbastanza opportunisti, che hanno fatto carriera trovando sempre come agire secondo le circostanze e forse ora alcuni pensano a come adattarsi trovando un possibile vantaggio nella nuova condizione di crisi. Insomma, la situazione è complessa.

Dal vostro punto di vista, quanti sono i teorici, diciamo planetari, che hanno un'influenza? Altri come lei o come Zygmunt Bauman, ad esempio?

Francamente io non credo di avere influenza, né la vedo in altri. Parliamo, scriviamo, questo è tutto. Io preferisco indirizzarmi al pubblico in generale, piuttosto che alla leadership stabilita. La consapevolezza generale deve crescere, in modo che si voglia qualcosa di diverso. Ad esempio, alcuni nuovi prodotti come le auto ibride (automobili con motori bimodali) sono stati sottovalutati.
Alcuni anni fa la Toyota ha lanciato sul mercato il modello 'Prius', senza grandi aspettative: la performance non è superiore, anzi è minore delle auto normali e costa di più. Ci vogliono 10 anni per ammortizzare la spesa e chi vuole aspettare 10 anni? Invece c'è stata una grande domanda e si devono attendere sei mesi per ricevere il modello! Evidentemente non entrano in gioco solamente aspetti di calcolo, è anche una questione di valori.

Lei pensa che ci siano ancora abbastanza valori rimanenti dopo tutto lo sconquasso che c'è stato nel '900?

E stato sottovalutato anche questo cambiamento, perché non sanno che c'è veramente un cambiamento in corso. L'ascesa di Barack Obama in America, nonostante sia per metà afroamericano, ne è un segnale. E’ un giovane che ha un certo carisma, un certo coraggio, ricorda un po' Kennedy. Forse un avversario conservatore come McCain potrebbe ancora ricevere più voti, o essere comunque imposto dall'alto come probabilmente è avvenuto con Bush, il che ci riporta all'importanza di un cambiamento dal basso.
L'opinione pubblica è fondamentale e la sensazione che le cose non vadano per il verso giusto è sempre più diffusa. Anche qui in Italia tutti i contadini dicono che qualcosa deve cambiare, che così non va bene, che non siamo sulla buona strada. Non è fatalismo, il fatalismo è pericoloso perché dice che il futuro è un disastro e non c'e niente da fare. Mi ricordo una barzelletta per dire qual è la differenza tra un ottimista e un pessimista: l'ottimista ritiene questo il mondo migliore possibile, il pessimista teme che l'ottimista abbia ragione. Nessuno dei due fa niente, perché non ha ragione di fare alcunché.

Pensa che l'attenzione verso il mondo spirituale potrebbe aiutare, considerando la crisi spirituale che ha caratterizzato la modernità in occidente e forse nel mondo?

In effetti si registra una crescita di attenzione verso la spiritualità, non la religiosità, quanto proprio la spiritualità, il che è diverso. Ogni religione è dottrinale, il fedele deve seguire gli insegnamenti della propria chiesa. La spiritualità invece è sviluppo interiore, nella sua essenza. Il buon religioso è profondamente spirituale, ma non tutti sono buoni religiosi. La religiosità può esistere senza spiritualità e la spiritualità può esistere senza religiosità.
In ogni caso, la vera spiritualità è oggi più potente, cresce tra la gente inducendo molti a cercare dentro se stessi, a capire il proprio compito in questo mondo in cambiamento. E’ interessante notare quanti diversi eventi vengono organizzati ultimamente su questo tema del compito. Qual è il compito oggettivo per la nostra generazione o per l'umanità? Abbiamo un compito davanti a noi, c'è qualcosa da fare oppure dobbiamo affidarci al caos di un mondo in cui tutto sia accidentale?

Forse potremmo dire che la nostra cultura post-moderna, che sembra non abbia più nessuno scopo, abbia invece il più importante di tutti: organizzare la salvezza, permettere la frenata, riorganizzare le attività con un diverso utilizzo delle energie, ecc.

Sì, possiamo darci l'onorevole scopo, in termini immediati e concreti, di ritrovare i nostri rapporti l'uno con l'altro, nonché il rapporto umano con l'ambiente, con la biosfera, sentire che siamo responsabili, non solamente per noi quanto anche per gli altri, per tutto quello che accade. Questa è la prima cosa. Amore è la parola che viene usata sempre più spesso, in diversi ambienti. Non solamente amore dei giovani o fra sessi diversi, amore fisico, bensì anche amore 'spirituale', potremmo dire, quello al quale si riferiscono il cristianesimo o il buddhismo, ad esempio.
Questa parola riavvicina all'idea di collegarsi, ritrovare rapporti uno con l'altro. La mentalità moderna è invece una mentalità classica, classico-moderna, diciamo newtoniana. Secondo questa visione, noi siamo tutti individui isolati e competitivi e non abbiamo niente in comune con gli altri, tanto meno interessi comuni; con gli altri abbiamo rapporti solo se consentono di avere benefici o profitti maggiori rispetto al fare da soli. Un approccio molto pragmatico, a corto termine. I rapporti sono tutti esterni, la causalità è esterna.

Le metodologie che stanno diffondendosi negli ultimi tempi, per esempio di meditazione, di riavvinicinamento alla natura, quelle che noi definiamo di tipo transpersonale, lei le vede positivamente, dunque?

Sì. Vi riporto un'esperienza personale di circa 10 giorni fa a San Francisco, dove sono stato invitato da un gruppo buddhista della Soka Gakkai. Mi hanno proposto un incontro in Giappone con il Signor Daisau Ikeda, una personalità di questo culto, probabilmente il prossimo ottobre. Pare abbiano trovato tanti elementi comuni tra la mia teoria e il loro buddhismo, che deriva dagli insegnamenti di Nichiren Daishonin. È interessante, no?
Il loro buddhismo è molto più vicino al nuovo paradigma scientifico, alla 'nuova scienza', rispetto al cristianesimo tradizionale. Secondo la loro visione, tutti evolvono insieme uno con l'altro, in inglese si dice 'dipendent core evolution' ('Principio di interdipendenza'. N.d.c.). Tutto è collegato con tutto.

Quasi un aspetto quantistico?

Si può interpretare come effetto quantistico, ma il riconoscere che nel mondo tutto è collegato non è privilegio della ricerca fisica, perché altri come Bergson, come Whitehead, cioè grandi filosofi del processo, detti "process philosophers", hanno parlato dei collegamenti interni di tutto il mondo come un sistema unico che evolve insieme. Ora ritroviamo questo nel mondo quantistico, microscopico, però questo tipo di collegamento si trova anche nel mondo macroscopico.
Le altre dimensioni presentano sempre lo stesso tipo di rapporti, secondo connessioni non locali (vedi anche teoria dell'universo olografico. N.d.c.). Dunque non c'è niente di puramente newtoniano: una massa qui, una massa laggiù, collegate solo con rapporti esterni di casualità. Quello è un concetto obsoleto. Invece, sappiamo adesso che tutto cambia se uno cambia, perché ogni altro aspetto del mondo è influenzato da questo cambiamento.

Una concezione co-evolutiva.

Sì, co-evolutiva e post-darwinista, in quanto considera l'evoluzione dal punto di vista sistemico, ecologico. Il mondo come un sistema. Cominciai a scrivere di questo 40 anni fa, mentre si andava delineando il nuovo paradigma scientifico. Cambia la mentalità, cambia il paradigma di riferimento, cambia la maniera di vedere il mondo. Purtroppo c'è ancora questo atteggiamento 'tecnicista' che vede la scienza solo in quantoricerca pura, lontana dalla società, dalla politica, dal mondo pratico. Invece, secondo me, la visione del mondo sta cambiando proprio tra gli scienziati, anche se non abbastanza da modificare i comportamenti ed essere pienamente visibile. La tensione tra vecchi e nuovi criteri guida è in pieno fermento, con effetti contrastanti rispetto alle scelte di percorso.

È un po' come se ci fosse sfuggito il sistema di controllo? Oppure siamo noi ad essere sfuggiti al sistema di controllo?

Viviamo ora in un sistema instabile, dunque non ben controllabile da coloro che detengono il potere. Com'è accaduto nel 1989 con il sistema comunista in Europa orientale: c'era il partito comunista, i governanti, ecc., ma non poterono reggere e siamo arrivati al punto dove tutto è cambiato, trasformato ad un tratto.

Questo sarebbe il punto di cambiamento per il sistema capitalistico?

La questione non è solo economica, è soprattutto sociale, ma certo la produzione e lo scambio di beni sono centrali. A parte il Vietnam del Nord e piccoli paesi, non ci sono veramente alternative al mercato, mercato libero, che sappiamo però non essere mai tale: ci sono tanti poteri che interagiscono e influenzano il mercato; il mercato completamente libero è pura idealizzazione. D'altronde non abbiamo molte altre alternative e dobbiamo fare i conti con il mercato anche se non è libero, anche perché esprime la crisi di questo sistema che vi introduce valori di corto termine, egoistici, di ricchezza, di potere.

Considerando l'importanza e l'influenza che a tutt'oggi caratterizza la religione a livello mondiale, come spiega quella che sembra un'assenza di ruolo dei leader religiosi riguardo a questa crisi, al contrario degli scienziati che invece sempre più spesso ne parlano?

Alcuni vogliono fare qualcosa, come il Dalai Lama, che ne parla sempre, certo da una posizione molto speciale. Gli altri credo risentano del timore cui abbiamo fatto cenno prima: quando il sistema diventa instabile, emerge la paura di. . . in inglese si dice "to rock the boat" (smuovere le acque. N.d.c.). Ma alcuni vogliono reagire, fare qualcosa.
Ho un amico, una persona che stimo molto, Sri Sri Ravi Shankar, riconosciuto come principale esponente dell'induismo indiano e seguito da milioni di persone, con il quale abbiamo convenuto di fare qualcosa questo autunno, una riunione di capi spirituali di diverse religioni. Ci sono già un centinaio di adesioni, in gran parte di piccoli gruppi religiosi. Il Vaticano ha comunicato la presenza del Segretario di Stato in delega al Papa.

Lei come vede la posizione della Chiesa cattolica verso un movimento di tipo ecologista?

Non saprei dire con esattezza; di certo so che la Chiesa e l'Università, in quanto strutture tradizionali, sono due grandi organismi conservatori.

Quindi mette anche l'Università tra le strutture che non cambiano?

L'Università è la più grande e la più difficile da cambiare. C'è un potere insito nel corpo docente, oltre che nella struttura: ogni nuovo insegnante era già allievo del professore precedente, dunque c'è sempre un chiaro passaggio d'eredità, senza soluzione di continuità. A maggior ragione quando l'Università è ricca e ha prestigio. Le grandi università non cambiano molto. A volte sembra il contrario perché si dimostrano all'avanguardia con professori e ricercatori conosciuti, ma la struttura non cambia; possono variare i contenuti di alcuni seminari, ma non la struttura stessa: tutto rimane sempre separato e le conoscenze non si integrano in una nuova concezione della facoltà. Del resto, nei fatti anche tra i docenti prevale una modalità d'azione molto competitiva e territoriale. Io non sono tornato alle Nazioni Unite dopo averle lasciate, come non sono tornato in Università, avevo difficoltà a riadattarmi a questa mentalità, tutti arroccati come in una torre d'avorio. Un cambiamento può provenire solo dalla base, dal margine; anche l'evoluzione della specie procede sempre dal margine.

Pensa che la nostra generazione sia capace di fare un sacrificio? Sacrificare se stessa, rinunciare a tanti privilegi, per un futuro migliore?

Il sacrificio dipende dai valori. Se il mio valore è avere la più grande macchina, una piccola macchina sarà un sacrificio. Se il mio valore è di risparmiare e di essere prudente, non mi sarà così difficile esprimere un consumo più consapevole. Oppure, andare in bicicletta è meglio che fare un altro viaggio, ecc., ma certo sacrificarsi è difficile, come anche rivedere valori che sono radicati nella tradizione.
Dobbiamo trovare un nuovo valore, o meglio una nuova visione del mondo. Dobbiamo capire che siamo tutti insieme, che siamo arrivati a un punto critico e dobbiamo agire insieme per creare un mondo più consapevole, più in pace, più sostenibile e che questo è possibile. La possibilità c'è, ma non per lungo tempo. Questo e il problema: la possibilità non resterà ancora aperta a lungo.
Sappiamo che un flusso positivo, una volta lanciato, diviene quasi impossibile da frenare quando si innesca un processo di crescita esponenziale, in cui ogni elemento spinge in avanti l'altro ("run away"). Sono processi che conosciamo dalla cibernetica e riguardano l'ambiente, la società o le imprese. A livello d'ambiente naturale, la biosfera è un sistema stabile e da cinque miliardi di anni si è mantenuto più o meno dentro una soglia limite. Ora invece stiamo profondamente sollecitando quest'equilibrio e, se s'innesca un processo di feedback positivo di tipo "run away", allora il rischio è non poter più intervenire, con grave rischio di sopravvivenza per la maggioranza della popolazione mondiale entro i prossimi venti anni. Un gran pericolo incombe sull'umanità, ma pochi se ne vogliono veramente rendere conto.


Purtroppo sì, per un'ampia serie di fattori convergenti, secondo la dinamica esposta prima. Solo per fare un esempio, si è visto che alla riduzione delle calotte polari corrisponde un aumento della superficie scura del pianeta (dall'alto, l'acqua è più scura del ghiaccio), che assorbe così più calore con ulteriore scioglimento dei ghiacci e così via, in accelerazione progressiva. Si rischia un'escalation simile ad una guerra, molto difficile poi da gestire.Abbiamo 4-5, massimo 10 anni per intervenire, ma tenere la data del 2012 come "punto di controllo" mi sembra appropriato, visto che già molti ne parlano anche per motivi spirituali. Due settimane fa ho visitato il museo antropologico di Città del Messico, dove è conservato il famoso calendario Maya; come ricordano gli antropologi, i Maya hanno fatto calcoli molto precisi sui movimenti stellari del nostro sistema, con cicli esatti di 6 mila anni, uno dei quali si conclude appunto nel 2012. Proprio adesso che, a tutti gli effetti, sembra approssimarsi un cambiamento profondo.

Come potevano prevedere tanto tempo fa quello che sarebbe diventata l'umanità, il collasso imminente?

Forse mediante osservazione consapevole di fenomeni a noi sconosciuti; forse potremmo supporre di non essere l'unica specie intelligente di questa parte della galassia e che l'informazione sia giunta da fuori. In fondo, pensare che siamo l'unica specie consapevole dell'universo non è ragionevole. Ho amici ricercatori che sono abbastanza convinti che un contatto con specie extraterrestri ci sia o ci sia stato, ma si voglia mantenere un segreto completo per timore del cambiamento; forse, peraltro, questi esseri non vogliono interferire nel nostro mondo. In ogni caso, la natura è più viva e più complessa di quanto non pensiamo.

Cosa suggerirebbe ad un adolescente del mondo occidentale, nella programmazione dei prossimi 10 anni della propria vita?

Di informarsi e poi di agire secondo la sua 'insight survey', la nuova conoscenza scaturita dalla sua indagine intuitiva. Si può fare tanto! Già come individui, si può vivere i propri rapporti in maniera 'sostenibile'. Si possono evitare illusori effetti specchianti, trovare alternative. Dunque per prima cosa informarsi, essere più consapevoli.

Quali sono secondo lei le migliori fonti di informazione?

Purtroppo non i media. Ci sono libri, c'è tutta questa cultura alternativa che in parte è New Age, un po' pazza, ma ci sono anche fonti d'informazione molto interessanti. Ad esempio, in Italia abbiamo provato a mettere insieme quest'enciclopedia olistica, una fonte d'informazione abbastanza interessante su diversi argomenti, quali salute o ecologia, dal punto di vista olistico. L'informazione si trova, soprattutto su internet, dove c'è ormai tutto. Nella scuola forse è più difficile, quindi è proprio necessario muoversi fuori dei percorsi stabiliti, 'out of the mainstream'. Molti giovani sentono che non stiamo andando lungo la strada giusta, cercano risposte ed è giusto parlare di questo tema e far sapere che ci sono alternative. Sono le nuove generazioni ad esprimere un atteggiamento più ecologista e più consapevole, si vede già da come vestono e dalle abitudini; purtroppo, nella loro ricerca, molto spesso hanno difficoltà a trovare la propria strada.

Un suo libro da suggerire ai giovani?

"Tu puoi cambiare il mondo", con la prefazione di Gorbaciov. Un testo ricco d'indicazioni su cosa fare concretamente. La cosa importante è che ci siano persone impegnate a fare qualcosa, non solamente a parlare a casa propria. La spinta arriverà, presto o tardi: ognuno è bene che agisca nel proprio campo.