giovedì 3 novembre 2011

i Luoghi e l'Ethos del Tao


L’ETHOS BALINESE
Quali sono realmente le motivazioni e i valori che accompagnano le ricche e complesse attività culturali dei balinesi? Che cosa, se non sono le interrelazioni competitive o comunque cumulative, che cosa muove i bali­nesi ad attuare gli elaborati schemi della loro vita?
1. È subito evidente a chiunque visiti Bali che la forza motrice dell’attività culturale non è né l’avidità né il cru­do bisogno fisiologico. I balinesi, specie nelle pianure, non sono affamati o poveri: sprecano il cibo e una parte assai notevole della loro attività è dedicata a opere affatto im­produttive, di natura estetica o rituale, in cui profondono cibo e ricchezze. In sostanza si ha a che fare con un’econo­mia dell’abbondanza più che con un’economia della pe­nuria. Alcuni, in realtà, sono considerati ‘poveri’ dai compagni, ma nessuno di questi poveri rischia di morir di fame, e l’idea che nelle grandi città occidentali certe persone possano proprio morir di fame procurava ai ba­linesi un indicibile turbamento.
2. Quanto alle transazioni economiche, i balinesi mo­strano grande prudenza nei piccoli affari. Essi lesinano il centesimo. D’altra parte, di quando in quando, contravvengono a questa prudenza profondendo grandi somme di danaro in cerimonie e in altre forme di prodigalità. Sono pochissimi i balinesi che aspirano ad aumentare continuamente le loro ricchezze o i loro beni; e costoro un po’ riescono sgradevoli e un po’ sono considerati stram­bi. La grande maggioranza lesina il centesimo in una prospettiva temporale limitata e con limitate aspirazioni; essi risparmiano finché ne hanno abbastanza da profon­dere in qualche cerimonia. Non si dovrebbe descrivere l’economia balinese in termini di un tentativo degli indi­vidui di aumentare al massimo il loro capitale, ma si do­vrebbe piuttosto paragonarla alle oscillazioni di rilassa­mento in fisiologia e in ingegneria, riconoscendo non solo che quest’analogia descrive le loro sequenze di transazioni, ma che essi stessi concepiscono queste sequenze come na­turalmente dotate di una struttura di questo tipo.
3. I balinesi dipendono molto dall’orientazione spazia­le; per essere in grado di agire, devono conoscere la posi­zione dei punti cardinali, e se un balinese è trasportato in macchina per strade tortuose sì da perdere il senso del­la direzione, può restare gravemente disorientato e non essere capace di agire (così ad esempio un danzatore può non esser più capace di danzare), finché non abbia nacqui-stato il senso di orientamento scorgendo qualche punto di riferimento importante, come la montagna che sorge al centro dell’isola e intorno alla quale sono strutturati i punti cardinali. Vi è anche un’analoga dipendenza dal­l’orientazione sociale, ma con questa differenza: che men­tre l’orientazione spaziale giace su un piano orizzontale, quella sociale è, per lo più, concepita verticalmente. Quan­do due sconosciuti s’incontrano, è necessario, prima di poter conversare con un minimo di libertà, che si dichia­rino le loro posizioni di casta. L’uno chiede all’altro: « Do­ve siedi? », che è una metafora per stabilire la casta; la domanda in sostanza è: Siedi in alto o in basso? ». Conosciuta la casta dell’altro, ognuno saprà quale etichet­ta e quali forme linguistiche deve adottare, e la conver­sazione potrà svolgersi. Senza tale orientazione, un bali­nese ha la lingua paralizzata.
4. Si scopre sovente che l’attività (eccetto quel lesinare il centesimo ricordato sopra), piuttosto che essere finaliz­zata, cioè diretta verso qualche scopo futuro, è apprezzata di per sé. L’artista, il danzatore, il musicista e il prete a volte ricevono un compenso pecuniario per la loro attività professionale, ma solo raramente questo compenso è suf­ficiente a ripagare anche solo il tempo e i materiali impie­gati dall’artista. Il compenso è un segno di apprezzamen­to, è una definizione del contesto in cui recita la compa­gnia teatrale, ma non è il suo sostegno economico. I gua­dagni della compagnia sono ad esempio messi da parte per comperare nuovi costumi, ma, al momento dell’acqui­sto, per mettere insieme la somma necessaria ogni membro deve di solito contribuire notevolmente al fondo comune. Analogamente, per quanto concerne le offerte che ven­gono portate al tempio in ogni festa non c’è alcun fine in questo enorme dispendio di lavoro artistico e di ricchezze materiali: il dio non concederà alcuna grazia per la bella ghirlanda di fiori e frutti che il fedele ha intrecciato per la ricorrenza annuale nel suo tempio, né si vendicherà delle omissioni. In luogo di uno scopo futuro, vi è una soddisfazione immediata e immanente nel compiere armo­niosamente e con grazia, insieme con tutti gli altri, ciò che è giusto compiere in ogni contesto particolare.
5. In genere è evidente la soddisfazione provata nell’ese­guire le cose alacremente e con gran concorso d’altra gen­te. D’altra parte l’essere espulsi dal gruppo è una tale sventura, che la minaccia di questa espulsione è una delle sanzioni più gravi nell’ambito della cultura.
6. È molto interessante notare che molte azioni balinesi sono articolatamente giustificabili in termini sociologici piuttosto che in termini di fini o valori individuali.
Ciò è particolarmente evidente in relazione a tutte le azioni connesse con il consiglio del villaggio, la gerarchia che comprende tutti i cittadini di pieno diritto. Questo organismo, nei suoi aspetti secolari, è chiamato I Desa (let­teralmente “Signor Villaggio”), e numerose regole e pro­cedure vengono razionalizzate con riferimento a questo personaggio astratto. Analogamente, nei suoi aspetti sacri, il villaggio è deificato come Betara Desa (Dio Villaggio), e gli vengono eretti santuari e portate offerte. (Possiamo immaginare che un’analisi alla Durkheim appanirebbe ai balinesi una procedura ovvia e appropriata per compren­dere gran parte della loro cultura pubblica).

In particolare, tutte le transazioni monetanie che ri­guardano la tesoreria del villaggio sono rette dalla propo­sizione generale: “Il villaggio non perde” (Desanne sing dadi potjol). Questa proposizione generale vale, per esem­pio, in tutti i casi in cui viene venduto un capo della mandria del villaggio: il villaggio non può in alcun caso accettare un prezzo inferiore a quello che, effettivamente o nominalmente, aveva pagato. (È importante osservare che la regola assume una forma che, fissa un limite infe­riore, e non è un imperativo a massimizzare il tesoro del villaggio).
Una singolare coscienza della natura dei processi sociali traspare da episodi come questo: un uomo povero era in procinto di affrontare uno degli importanti e costosi rites de passage che s’impongono quando una persona si avvi­cina al vertice della gerarchia consiliare. Chiedemmo che cosa sarebbe successo se si fosse rifiutato di fare questa spesa, e la prima risposta fu che, se fosse stato troppo povero, I Desa gli avrebbe prestato il denaro. 













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